A due giorni dalla presentazione del nuovo piano industriale, il titolo Fiat non ha beneficiato di nessun rimbalzo e ha chiuso di nuovo in negativo in Borsa a Milano, -0,53% dopo il -11,69% del giorno precedente. Marchionne non sembra aver dato peso alla reazione dei mercati: “Non mi curo della Borsa –  ha dichiarato – pensiamo a fare automobili”, ma gli analisti sono scettici. “If you start your 2014-2018 plan with an extremely weak quarter, nobody will give you the credit that you will achieve your targets”, dice Jens Schattner, analista di Macquarie Group Ltd. “If it was so easy just to launch new products to be successful in this industry, why wouldn’t everybody do exactly the same.

Tra gli aspetti più criticati del piano vi è quello della riduzione del debito, che passa dagli attuali 10 miliardi a meno di un miliardo nel 2018, e il dubbio che Marchionne riesca a finanziare gli investimenti. “Much as we admire the ambition and think elements are achievable … it is hard to find conviction on the financing of the plan,“, scrive in una nota agli investitori Marx Warburton di Bernstein Research. “Fiat is weighed down with huge debt, burdened by financing costs and is only thinly profitable. Its’ cost of capital is huge. The company “surely” needs a capital raise of some form for this plan to be affordable. Fiat’s massive plan – and the necessary capex (capital expenditure) and r&d – simply do not look affordable or prudent to us“.

Effettivamente, tra tutti i dati finanziari presentati dal capo della finanza Richard Palmer, è quello dell’EBITDA che raddoppia da 8 a 17 miliardi di euro che più colpisce. E comunque, anche se FCA dovesse riuscire a vendere 2.6 milioni di auto in più nei prossimi 5 anni, la generazione di cassa difficilmente basterebbe a riassorbire lo stock di debito, tanto è vero che Marchionne non ha escluso un’emissione di bond convertibili, e nemmeno un aumento di capitale.

Ma come abbiamo già scritto in precedenza su questo blog non è l’aspetto finanziario di FCA a preoccuparci, Marchionne ha ampiamente dimostrato in questi anni di saper trovare al momento opportuno le soluzioni migliori per reperire le risorse, lo farà anche stavolta man mano che il piano si sviluppa, a cominciare dall’IPO prevista entro fine anno.

L’elemento meno realistico del piano è invece quello legato alle assumptions sull’andamento della domanda, sull’aumento dei volumi e sulla competitività dei prodotti. Nonostante vi siano chiari segni di instabilità, nel piano è previsto che l‘industry continui a crescere in tutte le regioni, dal Brasile agli Stati Uniti alla Cina all’Europa. Una crescita moderata (un tasso annuo che va dall’1.4% nel Nafta al 5.5% nell’Apac), che richiede comunque un significativo aumento di quota di mercato per arrivare ai 7 milioni di unità vendute nel 2018: ma davvero Marchionne può pensare di aumentare la quota negli Stati Uniti di oltre 4 punti percentuali e di 5 in Brasile?

Circa il 60% della crescita dei volumi dovrebbe venire dai marchi Jeep (+1.2 milioni) e Chrysler (+400mila, il doppio di oggi). Quasi il 40% dell’incremento Jeep (circa 700mila unità) sarà frutto dalla nuova strategia di localizzazione della produzione: da una realtà attuale con cinque modelli costruiti in un unico mercato si passa a uno scenario con sei modelli costruiti in sei mercati. I tassi di crescita annui previsti per Jeep sono iperbolici, dal 35% in Europa ad oltre il 50% in America Latina, con un aumento del 30% del numero di concessionari ed un throughput (vendite per concessionario) insostenibile.

Per Chrysler il discorso è diverso: a dispetto di costose campagne pubblicitarie con Eminem e Clint Eastwood, il brand Chrysler rimane un also-run negli Stati Uniti, con la 300 che giace negli stock dei noleggiatori e la 200 che è poco più di una presenza nel mercato. Nei primi quattro mesi dell’anno, la divisione Chrysler ha registrato un calo del 12% rispetto a un mercato in crescita del 3%.

Ma l’aspetto più controverso di tutto il piano rimane quello della product execution. Più volte in questo blog abbiamo ribadito che oggi non basta più sviluppare nuovi prodotti per essere presenti nei segmenti, soprattutto in quelli in crescita. Semplicemente perché alla fine la domanda tende a concentrarsi solo su quelli veramente innovativi, cioè che soddisfano in pieno le esigenze, razionali ed emotive, dei clienti.

A questo proposito, non si può fare a meno di parlare di Alfa Romeo: davvero si può pensare che dall’approccio skunk works, con qualche centinaio di ingegneri presi a prestito all’interno del gruppo che lavorano in anonimi capannoni, possa nascere una best-in-class rear-wheel, all-wheel drive global architecture per 8 nuovi prodotti entro il 2018 ?

Non che la concorrenza (Toyota, Gm, Ford, Vw, Renault-Nissan) si sia mai sentita seriamente minacciata da Fiat Chrysler, ma è probabile che abbia reagito con sufficienza alla presentazione del piano, consapevole della grande complessità che un efficiente processo di pianificazione prodotti oggi richiede a livello globale, degli enormi investimenti in nuove tecnologie e della ingente generazione di cassa necessaria a sostenerli.

Incidentalmente, ieri Toyota ha annunciato i risultati finanziari relativi al 2013, con un profitto netto pari a 13 miliardi di euro.

Lascia un commento