Non sarà un caso che per la prima volta nella storia dell’industria automobilistica è proprio Tesla Motors a rendere i suoi brevetti open source. Lo farebbe pensare il fatto che i maggiori investimenti iniziali (nel 2003) nell’azienda di automobili elettriche di Elon Musk furono fatti dai fondatori di Google, Sergey Brin e Larry Page, e dall’ex-presidente di eBay, Jeff Skoll, e che il tutto si muove da Palo Alto, nel cuore della Silicon Valley.

L’idea di brevetto, tanto cara all’impresa classica, inizia a soffrire sotto le forti spinte di una nuova rivoluzionaria cultura: la proprietà condivisa e il libero usoAl fine di comprendere quanto possono sconvolgere gli equilibri di mercato politiche di ‘open source’ è significativo soffermarsi su ciò che è accaduto nell’industria del software.

Nel 1995, con l’avanzare del web, due gruppi di persone dissero: ”Wow, il web è una cosa importante. Ci serve un ambiente server migliore.” Uno era un gruppo variopinto di volontari che avevano semplicemente deciso: “Ci serve davvero, dovremmo scriverlo, e cosa ci faremo  … beh, lo condivideremo. E altre persone saranno in grado di svilupparlo” … L’altro gruppo era Microsoft. Ora tutti sappiamo cosa è accaduto, quel gruppo “variopinto” nel  giro di pochi anni, nonostante non controllasse nulla di quel che produceva,  conquistò il 70% delle quote di mercato. Oggi Il 70% delle applicazioni critiche delle principali ‘industrie’ sul web, Facebook, Google e Yahoo, usano Linux server, un software non proprietario, in competizione diretta con Microsoft, e non su una questione secondaria, ma su una componente essenziale della loro “produzione digitale”, la loro infrastruttura elaborativa.

Il nuovo fenomeno sociale, con il quale bisogna prendere confidenza, permette di poter creare e di poter usufruire, attraverso un sistema economico basato sulla condivisione e il libero scambio di qualunque cosa e in qualsiasi momento. L’economia dell’informazione è ormai nelle mani di tutti: è nata la ‘produzione orizzontale‘, contrapposta alla produzione verticale.

Il classico modello organizzativo, con un’azienda “cattedrale”, chiusa e gerarchica, basata sulla supply chain ma pur sempre verticale, deve inevitabilmente compiere un processo di metamorfosi verso il nuovo modello orizzontale, “a bazar”, in cui la proprietà di un capitale diventa radicalmente distribuita: tutti sono connessi con tutti, tutti possono produrre beni, informazione, condividere conoscenza e cultura.

Per le aziende questo significa ripensare le strategie d’impresa e competere sui nuovi mercati con nuove idee, immaginando di delegare al mondo aperto una o più componenti della catena del valore, creando nuovo valore dalla collaborazione totale estesa oltre i confini del limitato, e limitante, spazio aziendale.

Oggi, ad esempio, chi sa fare “il mestiere” di saper elaborare gli innumerevoli dati prodotti da milioni di utenti su Internet e ha capacità di estrarre informazioni utili, ha il 99,9% di possibilità di conoscerne le abitudini, confrontarne le preferenze, e poter creare così prodotti in grado di soddisfarne pienamente le esigenze. Chi sta sul web produce inconsapevolmente, con i suoi click, milioni di dati (big data) e consapevolmente con il proprio lavoro numerosi contenuti: l’utente diventa, nello stesso istante, consumatore e produttore. La raccolta di dataset così grandi e complessi e l’elaborazione delle informazioni, l’analisi dei dati e visualizzazioni condivise, è l’unica strada per poter fare una grande impresa: il vantaggio competitivo è nei dati.

Probabilmente per Tesla, possedere la proprietà del miglior motore, batteria o altro componente, in questa nuova era, non è più strategico: l’importante sarà renderlo funzionale a nuove richieste. Tesla forse ha capito l’importanza di aprirsi al mondo per poter crescere, migliorare e magari trovare qualcuno, nello spazio infinito del web, che ha la soluzione giusta per fare di Tesla l’auto vincente del futuro.

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