M’imbatto in una intervista su Les Echos con Thierry Peugeot, oggi vicepresidente del consiglio di sorveglianza del gruppo Psa, di fatto semplice amministratore e rappresentante della famiglia che per due secoli ha governato l’azienda di automobili francese. A 58 anni ha dovuto lasciare la presidenza che aveva dal 2002 e accettare malgré lui una coabitazione con lo stato francese e il partner cinese Dongfeng. Tutti e tre azionisti con il 14%, la presidenza a Louis Gallois, espressione della mano pubblica sul gruppo tradizionalmente più privato di Francia. Motivo? O così, o Psa sarebbe affondato sotto montagne di perdite.
Insomma ce ne è abbastanza perché Thierry Peugeot sia pieno di acrimonia. La notizia è che la mette in piazza completamente, senza nessun accenno di diplomazia. Colpa (o merito) probabilmente anche della divisione in famiglia, con suo cugino Robert (in cda) che invece ha appoggiato questa operazione di salvataggio.
Tralascio toni e alcuni passaggi e vado a quel che mi sembra il centro: come va con suo cugino Robert, gli chiedono a turno i ben quattro colleghi dell’entretien? “Robert ha un approccio finanziario, io mi considero un industriale“. Ecco la chiave: chi ragiona con la finanza, non capisce niente. Per Thierry Peugeot, le cose sarebbero andate diversamente se la crisi fosse stata affrontata in altro modo da Philippe Varin, il manager che ha chiuso l’accordo a tre dopo aver sostituito nel 2008 Christian Streiff, il preferito di Thierry, via per problemi di salute. “Bisogna riconoscere che Varin è più un finanziario che un industriale. Se Christian Streiif o Carlos Tavares (attuale pdg, ndr) fossero stati lì, le cose sarebbero potute andare diversamente. Ma bisogna fare con gli uomini che si hanno”. Vade retro finanza. E coi tempi che corrono, Thierry rischia di essere pure popolare.
Aggiornamento 4 luglio: con questo comunicato, Thierry Peugeot è stato messo fuori dal board Psa per questa intervista
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