Uber, l’applicazione californiana che permette di prenotare un taxi privato via smartphone, ha rilasciato uno studio sul profilo delle persone che hanno deciso di iscriversi al programma e diventare autisti. Lo studio è interno, dunque va preso con le molle, considerando che la app continua a navigare in un oceano in tempesta e ha bisogno quotidiano di curare la sua immagine.

Sono comunque maestri, attraendo sempre più investitori nonostante accumulino accuse di ogni tipo da ogni parte del mondo. La verità è che il business di Uber poggia su una base più che solida: su ogni corsa guadagna il 20% con tariffe imposte ai suoi autisti e guidate da un algoritmo, che decide quando, dove e come incrementarle secondo il traffico (la notte di Capodanno in genere schizzano all’insù, tanto per fare un esempio).

Per Uber, le previsione di utili nel 2015 sono di 10 miliardi di dollari. Uber gioca a tutto campo: Google, che pure è socio della app di San Francisco, sta per lanciare una sua società di ride sharing in concorrenza? Uber si è appena associata con la Carnegie Mellon university (uno dei cinque o sei più grandi centri di ricerca del mondo indipendenti dall’industria delle quattro ruote) per sviluppare l’auto a guida autonoma in concorrenza con il socio di Mountain View. E così via.

Metto qui il link dello studio. Ma tiro fuori un paio di dati: il 59% degli autisti intervistati aveva una occupazione a tempo pieno prima di passare a Uber (solo l’8% era disoccupato), il 71% sostiene di guadagnare più di prima, il 76% afferma che il guadagno è il motivo principale per cui è andato a lavorare per la app di San Francisco. Insomma, lavoro per Uber perché mi conviene davvero. Vale la pena guardarsi l’intero studio.

E’ la sharing economy, bellezza. Che sulla carta fa di ognuno di noi l’artefice del suo destino. Ma Uber non sta creando un nuovo uomo rinascimentale: se la società guadagna sempre la stessa percentuale, così non è per chi ci lavora. Rischi solo da una parte, la seconda. Non sto con i tassisti nemici dichiarati di Uber ma nemmeno con lo sfruttamento del lavoro. La penso come Catherine Rampell, che sul Washington Post ha manifestato pochi giorni fa tutti i suoi dubbi su ciò che ha chiamato “The dark side of ‘sharing economy’ jobs”. Fossi in voi, la leggerei.

Commenti
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    In Italia abbiamo costi di gestione diversi rispetto a molti paesi europei ed Americani.
    A Roma molti autisti NCC hanno dato la disdetta ad Uber per via della commissione che toglie quasi tutto il margine di guadagno.
    Basta pensare alla differenza tra i costi di carburante ed RCA tra Italia e Usa.

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    Se il disegno di Legge sulla libera concorrenza prevedesse che solo tassisti e NCC possano, senza limitazione alcuna, iscriversi a Uber avremmo risolto il problema.

    Taxi ed Ncc in base alla Legge (c.d.s. – L. 21 del 1992 – Norme comunali – Leggi fiscali – ecc.) sono sottoposti a rigorosi controlli che garantisco, sopratutto, il “cittadino utente” sia in relazione all’autista che al veicolo in servizio.

    Il reclutamento indiscriminato di Uber produce sia una perdita notevole della qualità del servizio ma, soprattutto, un serio pericolo di ordine pubblico in quanto nessuna indagine è svolta nei confronti delle persone che svolgono il servizio stesso.

    Esempio: un criminale che abbia la patente da tre anni ed abbia un’auto (non esistono controlli neppur minimi sullo stato delle vetture) può svolgere il servizio con Uber … vi siete chiesti in questo caso i rischi che sta correndo l’Utente?

    Se si liberalizzasse l’adesione (vietando i vincoli imposti da cooperative, Comuni, ecc.) dei mezzi pubblici già esistenti al servizio offerto da Uber avremmo risolto tutti i problemi!

    Infatti, guardate cosa è successo in India: una cliente è stata violentata da un autista Uber.

    A seguito di ciò l’Uber pensa di installare un pulsante anti-stupro sulle auto … per difendersi dai propri autisti: assurdo!

    Le Leggi servono a regolamentare i servizi a favore dell’utenza, ecco perchè gli attuali “mezzi pubblici non di linea” (taxi e NCC) sono sottoposti a ferrei controlli e a strette limitazioni e solo loro devono e possono offrire un servizio già normato, controllato, sicuro, professionale, atto ad essere utilizzato dal cittadino.

    […] Plouffe è stato assunto nell’agosto dell’anno scorso per far fronte alle battaglie legislative nelle quali Uber è coinvolta e per tenere alta la reputazione della app dopo una serie di scandali di ogni tipo, dal sessismo di alcuni dirigenti a violenze su clienti donne da parte di alcuni autisti, alle accuse di scorrettezza da parte dei tassisti di mezzo mondo. Quest’ultimi fanno una guerra a Uber spesso scomposta per difendere il loro lavoro, che non condivido. Mentre condivido alcune critiche sul sistema di lavoro in voga nella app. […]

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