Alziamo gli occhi dalla strada, molliamo le mani dal volante e proviamo un attimo ad innalzare il tono del discorso. In fondo a questo ci stiamo avviando: un futuro nel quale prenderemo collettivamente una svolta radicale da quella che per un secolo è stata una preoccupazione crescente ed individuale: la mobilità.

Ho due osservazioni da fare: la prima è che l’autopilota non ci è caduto in testa, ma è lo sviluppo evolutivo più razionale di una mobilità che sta marciando verso l’ingorgo perenne. Un recente studio dell’Università del Michigan – Transportation Research Institute – indica che negli ultimi trent’anni abbiamo perso il 24% dei patentati tra i giovani che ne avrebbero per la prima volta il diritto, ma anche un 10% nella fascia tra i 30 e i 34 anni.

La spesa si fa online, le consegne arrivano dal cielo o nel termine di un’ora (Amazon) o di dieci minuti (Uber); gli urbanisti stanno disegnando il ritorno dei mercatini nei quartieri e potenziando la rete dei trasporti pubblici (almeno qui negli Usa).

Per la seconda mi allaccio alla coda del post di Andrea, quando parla della valutazione tra l’efficienza del nostro giudizio e quello della macchina. Non ho riserve in questo caso: l’avanzare della mia ignoranza senile di fronte a macchine che rinascono ogni giorno con nuovo sapere mi ha già ridotto ad una supina ammirazione e a una crescente dipendenza. Quello che invece mi fa pensare di fronte a questo passaggio di licenza è la questione del giudizio morale che stiamo trasferendo al robot insieme alla patente di guida.

Gli studi dei progettatori e della NHTSA ci dicono che il robot ci ha già superato nelle capacità di muoversi nel traffico con minore probabilità di causare incidenti, come giustamente scrive Alessandro. L’autopilota ha maggiore capacità percettiva, riflessi più rapidi, e zero possibilità di distrarsi (non manda sms, non si gira a guardare bicipiti e adipe pelvico). Infatti sappiamo che è in grado di evitare il 90% di incidenti stradali oggi attribuibili all’errore umano.

Ma la tecnologia del LIDAR che lo informa (Light Detection and Ranging) non gli permette di distinguere la natura degli oggetti oltre la differenza basilare per forma e volume (riconosce una bici da un pedone, ma non una carrozzella da un carrello della spesa). Anche questo aspetto sarà senz’altro perfezionato nel tempo, ma nel momento in cui ci accingiamo a trasferire per la prima volta una responsabilità così gravida di conseguenze mi viene da pensare che il passaggio evolutivo verso una macchina con coscienza autonoma non è ancora avvenuto e probabilmente non avverrà mai.

Nel frattempo però stiamo autorizzando il cervello sintetico che ci guiderà nel traffico a decidere che la nostra vita può essere sacrificata, se il quadro dei dati istantanei che sta ricevendo lo porta a concludere che questa scelta è la più razionale e la meno dannosa.

E visto che stiamo parlando della fantascienza nella quale stiamo già vivendo, trascrivo qui le Tre Leggi della Robotica, che Isac Asimov elencò in Runaround:

  • Un robot non deve provocare danno ad una persona o tramite l’inazione permettere che il danno sia procurato.
  • Un robot deve obbedire agli ordini umani, a meno che questi contravvengano la prima legge.
  • Un robot deve preservare la propria esistenza, a meno che questa priorità entri in conflitto con la prima o la seconda legge.

 

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