L’automobile intesa come business non fa diventare super ricchi.  Uno magari pensa che quando gli amministratori delegati come Marchionne o Ghosn portano a casa diversi milioni di euro fra busta paga e stock option, l’industria delle quattro ruote arricchisca anche i proprietari – gli operai del resto sono pagati poco. E invece no.

Enrichissez-vous funzionava nella Francia di due secoli fa (più o meno) o nella Cina di Deng del 1979. Nell’auto proprio no.

L’automobile logora chi ce l’ha. Basta guardare la lista dei primi 100 miliardari del mondo stilata da Bloomberg, quella in cui Jeff Bezos,  il padrone di Amazon (e pure editore del Washington Post, non granché come business), è il numero uno con un patrimonio personale arrotondato a 100 miliardi di dollari.

Chi possiede l’automobile nel senso di industria praticamente non compare nella lista di Bloomberg. Fanno eccezione quelli che da sempre risultano i più ricchi proprietari di quattro ruote, gli eredi Quandt di Bmw.

Sono i figli Susanne Klatten, al 36esimo posto con un patrimonio valutato a 23 miliardi, e Stefan Quandt, al 42esimo posto e un patrimonio di 20,7 miliardi. Al 46esimo posto sbuca Elon Musk di Tesla con 20 miliardi. Fine. Gli Agnelli-Elkann, che pure non se la passano male, stanno col binocolo.

A essere pignoli, più che per l’automobile Bloomberg segnala Musk nella colonna del più vasto business “Technology”, mentre i Quandt sono nell”Industrial”.

Con la guida autonoma e l’elettrificazione, prossimamente al posto di bielle e pistoni, facile prevedere chi nel mondo dell’automobile (ma si dirà ancora così?) diventerà più ricco e chi diventerà più povero. Sempre operai a parte, molti dei quali del resto perderanno il posto causa robotica crescente.

Beati i tempi del vecchio Henry Ford: “Non occorre essere ricchi per comperare un’auto ma basta un’auto per sentirsi ricchi”.

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