A Carlos Tavares va riconosciuto un merito che forse supera quello di amministratore delegato di Stellantis: è un frantumatore di luoghi comuni.

Politici, sindacalisti e giornalisti italiani sono convinti che prima o poi licenzierà un bel po’ di operai italiani (per difendere quelli francesi, è ovvio). E lui che fa? Nei primi tre giorni da ceo di Stellantis  si è sciroppato tre turni di lavoro da 8 ore in tre fabbriche italiane visitando, in compagnia di John Elkann, i reparti di Melfi, Mirafiori e Cassino.

Tavares non solo ha iniziato dal “basso” ma soprattutto dal punto che è il più debole di Stellantis: gli stabilimenti italiani. Tra l’altro ha subito introdotto una grossa novità in casa Fiat: in tutte le fabbriche ha parlato per quasi un’ora per ogni visita con i delegati di reparto in quanto rappresentanti dei lavoratori. Una rottura anche per la liturgia dei nostri sindacati.

Conosco abbastanza bene quelle fabbriche. Dopo la visita, pardon il tour, ho chiacchierato a lungo con quadri aziendali e delegati sindacali per capire cosa avevano recepito della missione di Tavares. Un dato spicca su tutti: gli uomini di Fca hanno ritrovato un interlocutore e al tempo stesso una leadership. E ne hanno percepito forza, profondità e – spendo un termine importante – umiltà.

Il taccuino ha raccolto le frasi seguenti: “Questo fa sul serio”. “Ne capisce, e tanto”. “Sembra tornato Ketter” (il manager tedesco che su mandato di Marchionne ha rifatto le fabbriche italiane). “Tre quarti d’ora a parlare con i delegati, incredibile”. “E’ diventato tutto più veloce. Un giorno solo, e il logo Fca è sparito pure dai bagni”. “Con Chrysler è stato tutto più difficile. Gli americani ci temevano e all’inizio non ci facevano leggere i loro dati. Con i francesi invece posso già confrontare tutte le informazioni delicate, da pari a pari”.

Un idillio? Tutt’altro. La verità è che Tavares ha voluto mandare un segnale nel profondo del corpaccione Fiat. Alle donne e agli uomini italiani di Fca il manager portoghese ha testimoniato una grande verità: per l’automotive italiano la ricreazione è finita. Salire sul treno di Stellantis assicura ai lavoratori un orizzonte solido (uno “scudo di protezione”, lo chiama Tavares) ma presto dovranno dimostrare davvero quel che valgono perché sarà loro chiesto un nuovo salto d’efficienza e dovranno tornare a produrre utili. Come Tavares ha insegnato a fare a francesi, spagnoli, tedeschi, polacchi e recentemente anche marocchini  ex-Psa.

Per ragioni che sarebbe troppo lungo illustrare qui, la rete industriale italiana di Fiat da trent’anni vive in uno status particolare. Grazie agli aiuti di Stato? Non solo. Prima le fabbriche della penisola sono state protette dalla montagna di profitti che Fiat racimolava in Brasile, poi il ciclone Marchionne le ha scosse e rimodernate ma sempre con un occhio di riguardo scandito dal ritorno in patria della Panda dalla Polonia, dall’acquisto dello stabilimento Bertone di Torino per la Maserati, dal dirottamento di  miliardi di utili americani nello stabilimento di Cassino per l’amata Giulia.

Il risultato emerge dai conti 2019: in America 80.000 dipendenti Fca hanno assemblato 2,3 milioni di auto e “fatto” 6 miliardi di utili, in Italia 50.000 dipendenti Fca hanno sfornato meno di un milione di auto e perso centinaia di milioni.

C’è qualcosa che non funziona da troppo tempo. L’attenzione riservata da Tavares alle fabbriche italiane porta dunque il segno della speranza ma anche quello della sfida. E comunque è un evento destinato a segnare una cesura tra il passato e il futuro: ora le fabbriche Fiat non sono più il cuore di un impero in qualche modo italocentrico, come erano rimaste anche con Fiat Chrysler, ma parte di una rete globale che ridisegna i legami con gli interessi nazionali.

Il passaggio non vale solo per le fabbriche di Stellantis ma per l’intera filiera automotive italiana. L’Italia conta 2.198 imprese manifatturiere che operano nella componentistica. Assieme a quelle ex Fiat fanno il 6% del Pil (quasi 100 miliardi) e danno da mangiare a 250.000 persone. Qui si combatte la vera battaglia del futuro manifatturiero italiano.

E qui arriva un’altra verità: la rete industriale Peugeot è strettamente collegata alla francese Faurecia, società di componentistica enorme, con oltre 100.000 dipendenti, che ora passa in pole position nella corsa alle forniture delle fabbriche ex-Fca che adotteranno piattaforme francesi. Le 2.198 imprese di componentistica italiane sono forse le più brave del mondo ad arrangiarsi perché mano a mano che la Fiat diminuiva la sua produzione in Italia hanno aumentato l’export. Ma Fiat assorbe ancora il 50% delle loro produzioni e ora rischiano di trovarsi in casa un “mostro” pigliatutto.

Si tratta di una partita strategica per l’Italia. Ma le prime reazioni italiane sul tema sono state provinciali. Il Corriere della sera di martedì annunciava che fra i manager di prima linea di Stellantis 23 sono ex Psa e 18 ex Fca. E allora? Il gruppo dirigente di Fca disponeva forse di un manager delle capacità e dell’esperienza di Tavares? No. E Tavares come farebbe a ridare fiato anche alle fabbriche italiane senza avvalersi di una squadra collaudata che è stata capace di riportare all’attivo una Psa che nel 2013 era fallita?

La domanda finale è: cosa ci rimettiamo come “Sistema-Italia” nel consegnare Fca a Stellantis? Tavares ha riconosciuto la supremazia Fca (e gli ottimi risultati) negli Usa e in Brasile  assegnando queste regioni a Mike Manley e a Antonio Filosa. Ma all’Alfa Romeo ha piazzato l’ex capo di Peugeot, l’italo-francese Jean Philippe Imparato. Fca aveva designato un americano. Al manufacturing ha scelto un ingegnere francese, Arnaud Deboeuf. Fca aveva scelto un americano.

Il fatto è che fra i “kids” della Fca di Marchionne e poi di Manley c’erano già pochi dirigenti con passaporto tricolore. Non poteva essere diversamente. Anche i manager italiani pagano l’errore compiuto 30 anni fa dall’intero sistema italiano, dagli azionisti al sindacato alla politica, di non aver puntato sull’industria dell’auto come meritava e di non averla fatta uscire già allora dalle storture di un Paese che si avviava al declino.

Paradossalmente Torino in questi anni è stata rappresentata soprattutto dal britannico Richard Palmer, uomo di finanza sposato con una piemontese e che padroneggia benissimo l’italiano. Scoperto da Marchionne alla Comau ha gestito i conti di Fca come Chief Financial Officer (Cfo). Tavares ha confermato Palmer come Cfo di Stellantis – e non è poco – ma gli ha affiancato l’ex Psa Olivier Bourges cui è stata assegnata la strategica funzione del Planning, cioè della pianificazione finanziaria. Di tricolore poi nel Comitato Strategico di Stellantis c’è la bella sorpresa di una donna, Silvia Vernetti.

E allora rompiamo con Tavares un altro luogo comune: per la filiera dell’automotive e per i manager “made in Italy”, Stellantis non equivale ad un “asservimento” al padrone francese se non altro perché la fusione non funzionerebbe né sul nostro versante né su quello americano, ma rappresenta l’uscita definitiva dal cortile italiano.  E’ un nuovo orizzonte, con molti rischi che comunque c’erano anche nella disfunzionalità di una Fca troppo squilibrata sull’America, e con molte opportunità. Forse le ultime per l’idea stessa di auto made in Italy. Ora bisogna essere capaci di raccoglierle.

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