Andiamo bene: Byd vuole salvarci dentro una sua arca di Noè, Elon Musk progetta di portarci tutti su Marte sempre per motivi salvifici. Se avessi fatto ponte invece di aprire il pc, mi sarei salvato da questi allegri pensieri e da un Big Read del Financial Times sulle ambizioni che vanno ben oltre l’auto elettrica di Byd. Acronimo di Build your dreams e nome del costruttore cinese (inizialmente Byd non significava nulla) diventato di colpo il primo vero rivale di Tesla dopo anni di chiacchiere.

Leggo l’articolo, ritiro fuori un’analisi di Bernstein di marzo sui due costruttori e mi viene da chiamare Houston: abbiamo un problema. Anzi, avete un problema, dato che io non vendo macchine.

E’ noto che Byd ha scavalcato Tesla come primo costruttore al mondo di auto elettriche nell’ultimo trimestre del 2023, Musk si è ripreso lo scettro nel primo trimestre 2024, ma insomma il destino appare segnato. La scommessa di Byd è tuttavia una e non trina come quella di Musk: concentrarsi su un unico business e diventare un fornitore globale non solo di veicoli ma di energie pulite come quella solare, dopo essere già il secondo costruttore al mondo di batterie scalzando LG.

Sulle auto, Byd la fa facile: con una integrazione verticale che comprende anche partecipazioni in miniere di litio in almeno sei paesi e tre continenti, il costruttore sterza più veloce di altri sulla democratizzazione delle elettriche proponendo listini accessibili. A fianco di una gamma di modelli più costosi e più profittevoli dopo aver imparato da Tesla a spingere, e spingerà.

Bernstein stima che se Tesla e Byd investono per adesso su ricerca e sviluppo la stessa cifra, il primo ha però meno di 15mila ingegneri al lavoro, il secondo 90mila. Ciò spiegherebbe anche perché Tesla sviluppa un modello per volta, Byd più modelli contemporaneamente. Il primo ha lanciato dopo il 2012 quattro novità di prodotto, il secondo 54 fra Bev e Phev. Come pani e pesci.

Ft ricorda l’espansione all’estero di Byd con fabbriche prossimamente in Ungheria e in Messico, e cita lo studio del think tank tedesco Kiel Institute, secondo cui il costruttore ha beneficiato di sussidi governativi diretti per l’auto elettrica pari a 3,4 miliardi di euro fra il 2018 e il 2022.

Ft tuttavia non grida al lupo al lupo e non scrive di concorrenza sleale in Europa o in America da parte cinese. Un atteggiamento saggio. La dico tutta a modo mio: con aiuti pubblici diretti o indiretti, il resto dell’industria dell’auto globale ci ha sempre giocato, lasciando al mercato l’ultima parola come si conviene nel capitalismo migliore.

Byd è stato sostenuto e avvantaggiato dal suo sistema paese. Ma chi non lo è stato?

Gli Stati Uniti hanno alzato con l’Ira misure protezionistiche per proteggere la propria industria dell’auto, non solo contro i cinesi ma anche contro gli europei, e se vincesse Trump alle prossime elezioni potrebbe andare ancora peggio per noi. Senza dimenticare che nella provincia americana un tempo si incitava a prendere a martellate le perfide rivali giapponesi.

La Francia di qualsiasi presidente, da Sarkozy a Macron, ha salvato più di una volta i campioni nazionali Psa (ora Stellantis) e Renault con prestiti agevolati da 3 miliardi ciascuno nel buio della crisi globale del 2009, da 5 al secondo nel 2020 in era Covid. E quanto piace allo stato francese mostrarsi azionista attivo di Renault e di Stellantis e utilizzare un mix di protezionismo e incentivi per salvaguardare le vendite dei due galletti.

La Germania non ha avuto bisogno di dare soldi diretti a Bmw, Mercedes e Volkswagen pur essendo azionista del terzo gruppo, ma ha sempre lavorato a Bruxelles con il suo peso economico e politico per favorire la propria industria nazionale nelle decisioni legislative europee. Chi si ricorda di Schroeder chiamato “il cancelliere dell’auto” a cavallo del nuovo millennio?

E se l’Italia ha chiuso le frontiere per oltre un secolo ai costruttori stranieri riservando incentivi per fabbriche e cassa integrazione alla sola Fiat (senza contare l’influenza della Famiglia sui governi per leggi e regolamenti), l’industria dell’auto coreana è cresciuta all’ombra dei chaebol, conglomerati accusati di opacità e legati a doppio filo a governo e sistema paese. Mentre in Giappone i gruppi più grandi come Toyota sono il Giappone stesso e non semplici costruttori, chi barcolla o chi ha fallito non è stato costretto a un harakiri ma è stato inglobato come se niente fosse successo.

Ora è Byd a provare a correre nel mondo, attirandosi la migliore rivalità anche se vende batterie pure a Tesla, la sua Blade Battery per la Model Y. Ma da occidentale non mi sembra una storia di concorrenza sporca così tanto originale.

Sappiate comunque che il creatore di Byd, il 58enne Wang Chuanfu, ha iniziato la sua storia imprenditoriale nel 1995 con un prestito privato, l’equivalente di una trentina di milioni di euro da parte di un cugino che lavorava in finanza. E occhio, è un chimico. Scriveva Primo Levi: “La chimica è l’arte di separare, pesare e distinguere”.

PS L’inviato di Ft al quartier generale di Byd nei pressi di Shenzen (ricordo che è stata la prima zona economica speciale della Cina voluta da Deng nel 1992, altro aiutino non da poco) si è trovato all’ingresso uno schermo gigantesco con questa scritta: “Where is Noah’s ark that saved mankind?”. “Right here”, secondo il collega. Non so se è ancora così, ma quando anni fa si arrivava alla sede di Geely, il suo creatore Li Shufu oggi a capo di un altro impero cinese molto ammanicato con alcuni gruppi europei, preferiva far vergare su immensi tappeti alcuni versi scritti di suo pugno. Poesia e prosa, animal spirits, accordi crescenti da quasi amici tra cinesi e occidentali: meglio se ce la giochiamo senza se e senza ma. O no?

@fpatfpat

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