L’auto elettrica perde colpi sui mercati mondiali. Avanza nelle vendite ma senza sfondare, o senza tenere meglio in conto i livelli di produzione e offerta della maggior parte dei costruttori. Spicca l’eccezione italiana tra i paesi con una storia automobilistica importante, dove l’auto elettrica non avanza, non sfonda e non rinuncia nemmeno alla cassa integrazione lì dove si produce, come sta accadendo purtroppo a Mirafiori per la Fiat 500e.
Così, invece che sui modelli a zero emissioni, più o meno tutti stanno spingendo sull‘ibrido plug-in, tecnologia di transizione con prezzi finalmente in discesa. Contestualmente, qualcuno ammaina la bandiera di prossimo marchio solo elettrico sventolata forse con troppo anticipo sul 2035 di Bruxelles, sostenendo che potrebbe vendere ancora per un po’ anche macchine con motori endotermici. Annacquata l’inutile omologazione Euro 7, non si butta niente. Finché c’è vita c’è speranza.
Mentre ascolto “Giugno 73” di Fabrizio De André (“meglio lasciarci che non esserci incontrati”), sul sito di Repubblica m’imbatto su un pezzo titolato “Auto elettrica, fine di un amore?”. Che destino: io sono innamorato solo della mia Vespa, però ho sempre pensato che il 2035 per il tutto elettrico sia una data congrua. Per me lo sarebbe stata anche il 2040 o il 2030: perché senza una data cerchiata in rosso sul calendario dalla politica, l’industria non se la sarebbe mai cerchiata da sola, come ha detto solare e insospettabile Louis Schweitzer, il manager che ha fatto davvero grande il gruppo Renault, in una bella intervista al direttore al Quattroruote dell’anno scorso.
“Auto elettrica, fine di un amore?” è firmato da Marco Tullio Giordana, regista appassionato di automobili cui dovremmo essere grati per l’eternità per almeno un paio di suoi film, “I cento passi” (il 9 maggio sono giusto passati 46 anni dall’omicidio mafioso di Peppino Impastato) e “La meglio gioventù” (mentre girava, una volta a Roma andai sul set a intervistarlo per Quattroruote, inizio millennio). Giordana interloquisce con un altro pezzo a firma del capo del settore motori di Repubblica, “Da sostenibile a consapevole, il voltafaccia della mobilità elettrica”, che contiene un j’accuse: la tendenza degli uffici marketing di alcune Case a sostituire per la mobilità l’aggettivo “sostenibile” con “consapevole”. Altro chiaro segno di disamore per l’auto elettrica.
In origine, consapevolezza o coscienza significava il sapere condiviso, dal latino cum e scire. Cosa che proprio non fa a pugni con sostenibilità, entrambi strumenti necessari per capire e discutere il ruolo dell’auto elettrica nella nostra vita. Poi la filosofia ha sviluppato la consapevolezza in razionalità, diciamo con Cartesio, senza dimenticare il suo senso morale, base per dare un giudizio o distinguere per esempio il bene dal male. Vabbè, mi so’ allargato troppo ed ero pure scarso in filosofia, chiudo: l’auto elettrica è una scelta consapevole, razionale e morale, e sostenibile facendo bene anche all’ambiente degli altri.
Eppoi l’auto elettrica è a cento passi da noi non per essere uccisa, ma perché altra strada non c’è. Perfino la mia Vespa lo sa.