Gli incentivi governativi all’acquisto di auto con minore impatto ambientale meriterebbero una puntata speciale di chi li ha visti, se non fosse che la critica dovrebbe superare il filtro della nuova governance Rai. Ma finalmente il ministro del Made in Italy Adolfo Urso ha annunciato che gli incentivi saranno operativi entro la fine di maggio e ho vero motivo di credere che così sarà. Nell’auto non ricordo a memoria una operazione pubblica tanto sgangherata.

Lo scorso dicembre, il governo comunica che dopo mesi di lavoro (diciamo da dopo l’estate), ci sarà per l’inizio del 2024 con apposito Dpcm (decreto del Consiglio dei ministri) un provvedimento molto atteso: il rinnovo degli incentivi per l’auto. Migliore di quelli in voga o scaduti nel resto dell’Europa, perché è cifra top 13.750 euro di contributo statale a chi acquista un’auto elettrica rottamandone una da Euro 0 a Euro 2 con un reddito lordo annuo inferiore a 30mila euro. Robba forte, come si dice a Roma.

Inizia l’anno e degli incentivi annunciati se ne parla al bar e basta. La strada più breve per scoraggiare chi ha intenzione di cambiare macchina e fare danno a chi deve lavorare a produzione e vendita – costruttori, concessionari, operai delle fabbriche.

Si scivola a febbraio e il governo promette di varare – preceduto da informazioni diffuse ad arte sull’imminenza dell’operazione – l’ormai famoso Dpcm da bar. Lo sanno tutti che è venuto quel giorno. Tranne il ceo di Stellantis Carlos Tavares, che alla vigilia va a Bloomberg tv e spara a zero come una elettrica: senza incentivi, alcune fabbriche italiane sono a rischio chiusura.

Incentivi alla bizzarria: o i suoi dipendenti di Torino non lo hanno informato e sono tutti da licenziare (a esclusione del presidente di Stellantis John Elkann, che però credo non s’interessi a queste miserie e forse i due non si sono nemmeno parlati), oppure Tavares sapeva e ha deliberatamente creato un casus, utile per giustificare l’imminente trimestrale da mercato debole e cassa integrazione.

Il Dpcm con gli incentivi in realtà slitta ancora, fioccano rassicurazioni mentre la presidente del consiglio Giorgia Meloni sfida a duello Tavares e Urso si segna sull’agenda la data del 10 aprile, presentazione dell’Alfa Romeo Milano con nome che non s’ha da fare. Dal ministero del Made in Italy cominciano a uscire voci di problemi burocratici che avrebbero rallentato l’iter dell’operatività. Tutta colpa di tecnici incapaci a gestire un atto amministrativo così tradizionale?

Il sospetto è che il problema sia politico, che poi è un aggettivo troppo alto per una storiella di così bassa lega (noto con piacere il doppio senso di quest’ultimo sostantivo solo rileggendo, ndr). Poveri tecnici: qui siamo a incentivi di lotta e di governo.

C’è l’appuntamento elettorale dell’8-9 giugno e in Italia tutto fa brodo, perfino la presidente del consiglio si candida per finta (chiedere agli altri leader europei cosa ne pensano): e se gli incentivi fossero stati fatti slittare per ricordare meglio ai votanti chi dà loro i soldi per cambiare la macchina e tentare di raccattare qualche preferenza in più? Il primo a dirlo in pubblico è Salvatore Saladino, country manager Italia di Dataforce, analista indipendente e certo non estremista del centro studi tedesco.

Escono i dati di mercato dell’auto di aprile, in ripresa dopo un marzo negativo, e il suo commento legge nel pensiero di molti osservatori che nemmeno il Neuralink di Elon Musk: “Sembra sempre più evidente che i partiti della maggioranza di governo intendano sfruttare a proprio vantaggio la visibilità che i media daranno ai nuovi bonus nell’ottica delle elezioni europee”.

Meglio la gallina domani, Made in Italy.

@fpatfpat

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