J. D. Vance è il vicepresidente degli Stati Uniti che fa il vicepresidente degli Stati Uniti come nessun altro altro mai. Dimenticate questa funzione storicamente in ombra, tutto un nuovo film con regista il suo presidente Donald Trump. Il protagonismo di Vance lo si è visto a Monaco di Baviera con l’attacco all’Europa, nello scontro alla Casa Bianca con il presidente ucraino, nella politica interna. Quella dell'”America First“, industria dell’auto compresa. Sarà facile rivederlo.

“Mi chiamo J.D. Vance, e penso che dovrei iniziare con una confessione: trovo l’esistenza del libro che avete in mano piuttosto assurda”. E’ l’incipit di “Elegia americana”, tradotto e pubblicato in Italia da Garzanti nel 2017, in cui Vance racconta in prima persona la sua storia di bianco povero degli Appalachi. La vita difficile di uno che ce l’ha fatta. L’ho letto l’anno scorso: libro bello, vero e senza enfasi su quell’America profonda che fa capire meglio il fenomeno Trump.

Mi ero interessato a Vance dopo essermi imbattuto in una sua proposta di legge presentata al Senato americano il 28 settembre 2023. Si chiamava “Drive American Act”, sottotitolo tradotto: “Abrogare gli incentivi fiscali relativi ai veicoli elettrici e istituire un credito d’imposta per promuovere la produzione di automobili negli Stati Uniti”. Il riferimento era al programma Ira dell’amministrazione Biden, oggi in lista d’attesa per essere cancellato.

Vance mi era sembrato subito una specie di Robin Hood dell’endotermico, con l’idea di togliere soldi ai ricchi che si comprano le auto elettriche e darli ai poveri che cercano veicoli a benzina o a gasolio. Basta, sosteneva e sostiene, concedere crediti d’imposta – fino a 7.500 dollari – agli acquirenti di un’auto elettrica, meglio garantire la stessa cifra a chi ne preferisce una con motore tradizionale. Per accedere ai crediti, si legge nel “Drive American Act”, bisogna essere non troppo poveri guadagnando al massimo 150.000 dollari all’anno (300.000 se si è una coppia fortunata) e non desiderare un modello che costi più di 80.000 dollari, cifra ampiamente sopra la media di una quattroruote americana. Rigorosamente made in Usa, chiaro.

Ma chi è J.D. Vance? “Vedete, sono nato in una famiglia povera della Rust Belt (…) Le statistiche dicono che quelli come me avranno un futuro difficile, e nella migliore delle ipotesi riusciranno a cavarsela senza ricorrere ai sussidi statali; nella peggiore moriranno per una overdose di eroina” (….) Mi identifico con i milioni di proletari bianchi di origine irlandese e scozzese (…) per questa gente la povertà è una tradizione di famiglia (….) gli americani li chiamano hillbilly (buzzurri, montanari), redneck (colli rossi) o white trash (spazzatura bianca). Io li chiamo vicini di casa, amici e familiari”.

Cinque anni fa, Vance era critico con Trump e si diceva preoccupato per un “futuro di energia pulita”, necessaria per curare il “problema climatico della nostra società”. Per volare dalla Rust Belt alla Casa Bianca, è diventato trumpiano di ferro e, tra le altre cose, negazionista dell’emergenza climatica. Nella campagna elettorale del 2022 ha ricevuto donazioni per circa 350.000 dollari da parte di lobby legate ad aziende oil&gas, cosa che – alla convention repubblicana in Wisconsin dell’anno scorso, dove ha accettato la candidatura a vicepresidente – non gli ha impedito di seppellire il “Green New Deal”, ribattezzandolo il “Green New Scam”. La nuova truffa verde.

Chi è J. D. Vance? “Non ci piacciono gli estranei e i diversi, anche se la differenza sta solo nell’aspetto, nel loro modo di agire o, in particolare, nel loro modo di parlare. Per capirmi, dovete rendervi conto che sono veramente un hillbilly di origine scozzese e irlandese”. E’ lui la nuova guida suprema per un’industria dell’auto Usa che si vorrebbe far tornare indietro? Trovo che ci sia un messaggio anche per noi in Europa, alle prese con sto’ 2035. In attesa di rivedere Vance in azione qui e altrove, leggetevi “Elegia americana”. Ne vale davvero la pena.

@fpatfpat

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