Nelle riunioni segrete degli ultimi due mesi tra l’emergente società cinese Dongfeng e la francese Peugeot all’ultima spiaggia, la Peugeot era identificata in gran segreto con il nome dello studente d’arte divenuto maestro del suo secolo, l’eurocentrico e autoreferenziale Pablo Picasso. La Gm era invece il finanziere passato alla pittura, il vagabondo e picaresco avventuriero del Sud Pacifico Paul Gauguin. Quante probabilità di successo avreste dato all’unione tra questi due personaggi?
Nella vita reale nessuna: Gauguin è citato solo come una fonte di ispirazione secondaria per l’arrogante allievo di nessuno che fu il giovane Picasso, e non ci sono tracce di frequentazione tra i due nella Parigi ai primi del ‘900.
In questa storia dell’accordo ormai quasi al tramonto tra Gm e Peugeot, mi sembra comunque rilevante osservare che la Gm aveva perseguito ancora una volta in Europa la strategia di allearsi con una delle produttrici di auto popolari ed economiche, nonostante i fallimenti in passato di un simile tentativo con la Fiat, e dell’altro appena confinato alle pagine della cronaca con la cordata Chevrolet-Daewoo. Una vera ossessione. Persino la scelta di portare la Chevy in Europa era stata una ripetizione del medesimo concetto di cultura aziendale: Chevrolet, nella definizione del Ceo Alfred Sloan operata negli anni ‘30, era il brand di auto popolare nella corona della Gm, la porta d’accesso del consumatore al regno della casa di Detroit.
Da cosa derivasse questa determinazione al populismo europeo non mi è mai stato chiaro. La Chevrolet non aveva più un solo grammo della vocazione iniziale quando annunciò l’arrembaggio al vecchio continente al salone di Parigi nel 2004, e la gamma delle vetture che ha importato con una certa identità di marchio è piuttosto un campionario degli estremi del mercato americano, dalla Corvette e la Camaro alla Volt. L’anima popolare doveva invece ancora una volta prenderla in prestito sulla base di una moribonda associazione con la Suzuki, e di un più solido rapporto con la Daewoo.
C’è invece, e c’è sempre stata per la Gm in Europa a partire dal 1929, l’opzione della Opel, che a prima vista sembra ideale per sviluppare una autentica strategia locale. Invece che dall’intesa, questo rapporto è stato avvelenato troppo spesso da antagonismo, sospetto e reciproca incomprensione. L’americana ha mal sopportato in passato l’ orgoglio degli ingegneri tedeschi e a volte ha imposto loro inversioni di rotta umilianti. La vocazione della Opel era quella del primato tecnologico, nella progettazione come nella produzione, compensato da un prezzo di mercato superiore alla media. La Gm l’ha piegata verso un generalismo che l’ha in parte snaturata e le ha fatto perdere terreno e prestigio quando le concorrenti di casa tedesca hanno spiccato il volo.
E’ questo il momento di rettificare il corso dell’alleanza? I tedeschi non solo i soli a sperarlo. Occorrerebbe però confermare con le parole e le opere quanto le due defezioni Peugeot-Chevrolet già esprimono nei fatti: ha poco senso competere in Europa partendo dal basso di posizioni che sono già solidamente assegnate, o sono terreno di conquista per nuovi e rampanti protagonisti dei mercati asiatici. La riscossa per la Gm e per la Opel deve partire da ambizioni un po’ più alte.
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