Taci, il concessionario ti ascolta. Al Consumer Electronics di Las Vegas la settimana scorsa il vice president della Ford Jim Farley ha detto con una certa boria: “Se un nostro cliente infrange il codice, noi lo sappiamo. Sappiamo quando e dove lo fa, ce lo dice il Gps”. Si è poi corretto, per la verità, quando ha visto che le sue parole avevano scatenato feroci polemiche: “Naturalmente non raccogliamo informazioni senza l’approvazione dei nostri clienti”. Una rassicurazione che suona vuota e minacciosa da quando è uscita più o meno con le stesse parole dalla bocca di James Clapper, direttore della Nsa, allo scoppio del Datagate.

Per estensione viene da chiedersi se sanno anche a che ora arriviamo in ufficio e se siamo in ritardo; se abbiamo visitato una zona pericolosa della città e se abbiamo incontrato qualcuno e chi a bordo di un’altra auto. Tutte informazioni a portata di mano, anzi in piena espansione con l’arrivo di decine di nuove app sulla plancia, come promettono Google e Android, sempre a Las Vegas.

Al salone di Detroit lunedì gli ha fatto eco il ministro per i Trasporti Anthony Foxx: “La tecnologia che sta emergendo nel settore dell’auto pone nuove questioni, e noi dovremo valutarle con attenzione in cerca del giusto equilibrio tra sicurezza e diritto alla privacy”. E poi  Sergio Marchionne: “Le informazioni che ci arrivano sono preziose per migliorare la qualità delle auto, ma possono divenire pericolose se non sono trattate con la dovuta cautela”.

Scagli la prima pietra chi non è mai stato tentato di controllare via Internet se quel vecchio compagno di scuola che ci rendeva la vita impossibile, ha mai subìto crescendo una condanna penale, o quanto vale la casa in cui abita, o quante mogli ha avuto. Chiunque può farlo con un colpo di mouse e qualche euro. Il problema è proprio questo: quando la tecnologia esiste, la tentazione di usarla è grande, tanto più grande quando si è potenti e bene organizzati.

Dal prossimo settembre, negli Usa la scatola nera che le Case hanno installato senza troppa pubblicità nelle nostre vetture negli ultimi quarant’anni diventa obbligatoria, quindi sarà un reato tentare di manometterla o rimuoverla. I dati raccolti appartengono al proprietario dell’auto e possono essere richiesti solo dal tribunale, o dall’agenzia federale per la sicurezza stradale. Ma non ci avevano detto lo stesso dei nostri telefoni?

E con le apps che arrivano a bordo della vettura, intorno al nostro polso e a cavallo del naso, che ne sarà della nostra privacy di fronte all’appetito crescente che i reparti di marketing stanno nutrendo nei confronti delle nostre abitudini di vita?

Lascia un commento