Il ricco segmento delle auto di lusso in Cina l’hanno scorso ha superato i due milioni di vendite; grasso che cola per i due leader Volkswagen e Gm, che sottraggono profitti a un governo locale già terrorizzato all’idea di mollare la presa sul settore automobilistico. Eppure più che alle due mega aziende  internazionali, il governo – partito di Pechino sembra aver dichiarato guerra ad un terzo incomodo che ha appena infilato un piede nella porta in cerca di aprirsi un varco: la Tesla di Elon Musk.

Ad aprile Musk, nel consegnare le prime auto ai suoi clienti cinesi, ha dichiarato che vuole vendere 5.000 vetture nel primo anno, che è una cifra folle anche nel folle mercato cinese che finora ha immatricolato appena 1.900 vetture elettriche. La sua Model S costa chiavi in mano una cifra che oscilla tra i 120 e i 179.000 dollari, il doppio del prezzo americano. Passano sei mesi tra l’ordine e la consegna, e il pagamento deve essere completato con un discreto anticipo. Fonti non ufficiali di Forbes hanno azzardato che  il volume totale degli ordini delle Tesla sarà di poco più di 1.000 unità per il primo anno.

Eppure Musk insiste. L’imprenditore sudafricano naturalizzato negli Usa ha letto come tanti il recente rapporto McKinsey , il quale esordisce con una previsione: tra il 2011 e il 2020 il 35% di incremento di fatturato nel mercato dell’auto verrà dalla Cina. Le autorità locali che hanno enormi grattacapi con l’inquinamento hanno già iniziato a bloccare la circolazione a targhe alterne in otto grandi centri, e per il 2020 l’analisi della McKinsey prevede che almeno 20 megalopoli cinesi dovranno vietare il traffico nei centri urbani. Se guidare un’auto diventerà un privilegio, il costo di una Tesla potrebbe divenire l’emblema di tale esclusività.

Il problema per Musk è che anche il governo cinese deve aver tratto simili conclusioni, tanto da averlo indicato come un nemico da abbattere. Tanto per cominciare le Tesla, che pure calzano a pennello la qualifica, sono escluse dai ricchi incentivi statali (10.000 dollari) concessi alle auto elettriche.

Il secondo fronte, molto più gravido di conseguenze, è quello delle stazioni di ricarica. La sola città di Pechino l’anno prossimo inizierà a dotarsi di una rete di rifornimento elettrica che nel 2025 coprirà un raggio di 10 km a partire dal centro, con stazioni mai più lontane di 5 km una dall’altra. I cinesi sono disposti ad aprire il proprio sistema di ricarica ai costruttori europei, americani e giapponesi, in modo che questi adattino le loro vetture a ricevere le pompe di rifornimento rapido che saranno installate. Ma le Tesla no. Il loro sistema è unico e di proprietà della sola azienda, e le autorità cinesi rifiutano di inserirlo nelle linee flessibili del progetto.

Musk sta correndo ai ripari cercando partner finanziari locali che costruiscano con lui una rete alternativa, come quella che ha negli Usa. Se avrà successo, la linea di confronto sarà ancora più marcata, e la battaglia rischia di sfociare in una guerra.

Sempre che l’ex inventore di PayPal riesca a superare il più recente sassolino che gli è stato messo contro: l’imprenditore Zahn Baosheng ha registrato anni fa il marchio Tesla in Cina, e ora chiede ad un tribunale la sospensione di tutte le attività della ditta americana, e il pagamento dei danni. Il verdetto è atteso il 5 di agosto.

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