Il governo francese vuole raddoppiare il suo peso in Renault di cui è storicamente azionista. Obiettivo dichiarato, proteggere il suo business senza volere però guidare davvero il gruppo, lasciando (a suo modo) la leadership a Carlos Ghosn. Il quale è furibondo e, raccontano le cronache, in scontro aperto con il giovane ministro dell’economia Emmanuel Macron. Nell’assemblea degli azionisti di giovedì 30 aprile, lo stato comprerà 14 milioni di azioni per passare dall’attuale quota del 15% al 19,7% e diventare così primo azionista del gruppo che comprende anche la Nissan. Qui il secondo problema: i giapponesi sono azionisti al 15% e temono la rottura degli equilibri a loro sfavore. La storia è qui ben raccontata nei particolari, non mi dilungo oltre.
Un commento facile però si può fare. Quando l’industria dell’auto chiede l’aiuto dello stato per salvarsi, il conto da pagare prima o poi arriva. E i francesi sono maestri. E’ capitato con Renault e con Peugeot – Citroen (Psa). Anche se non scherzano nemmeno gli americani: basta guardare a quel che ha fatto l’amministrazione Obama con Gm, ricevendo l’accusa di essere addirittura “socialista”, insieme alla eccezione Chrysler di Marchionne.
1) Nel 1999, la piccola Renault conquistò il colosso Nissan sull’orlo della bancarotta grazie soprattutto alle garanzie politiche che l’allora governo socialista francese mise sul piatto. L’operazione, vista dai più come una avventura assolutamente a rischio, sarebbe stata probabilmente impensabile senza quel sostegno assai discreto nella forma. Come poi è andata (bene), lo sappiamo tutti. Senza infine dimenticare i 3 miliardi prestati dallo stato a tasso agevolato nel piena della crisi mondiale del 2009 e restituiti da Ghosn nel 2011.
2) Nel 2014, Psa è stata salvata dall’intervento statale. La famiglia Peugeot ha perso il controllo del gruppo e i cinesi di Dongfeng sono entrati nel capitale sotto l’occhio vigile dello stato francese, azionista paritario a sua volta. Ma il governo chiese e ottenne subito la presidenza del gruppo per un suo uomo, Louis Gallois, oltre a imporre (qui d’intesa con i partner) l’amministratore delegato Carlos Tavares. E senza dimenticare anche qui il prestito pubblico di 3 miliardi nel 2009 come sopra per Renault.
3) Nel 2009, l’amministrazione Obama completò il salvataggio della Gm e della Chrysler con i soldi dei contribuenti. Ma agli azionisti di Gm chiese (e ottenne subito, “You’re fired!)”) la testa dell’amministratore delegato Rick Wagoner, 32 anni di carriera di cui 17 al vertice e 82 miliardi di dollari persi sotto la sua direzione.
4) L’amministrazione Obama, secondo il racconto a posteriori fatto dai suoi uomini, diede invece la Chrysler a Marchionne come una scelta disperata – meglio così che chiudere. La mossa si rivelò alla fine vincente, e a Marchionne fu chiesto di onorare una serie di impegni con il governo federale. Il manager anticipò addirittura il rimborso dei prestiti, senza apparentemente subire ingerenze nella gestione e nell’azionariato.
Insomma, Marchionne si può considerare l’eccezione che conferma la regola (occidentale, perché in Russia, in Cina, in Giappone e in Corea del sud la musica è tutt’altra) nella recente storia dei rapporti di salvataggio stato-industria dell’auto. Almeno per quanto riguarda il suo operato in America.
[…] Macron ha dunque scelto per l’Eliseo la DS7 Crossback, un tipo di carrozzeria per altro alla moda. Chi glielo dice a Ghosn, il patron di Renault? Senza dimenticare le scintille tra i due, quando Macron era soltanto ministro dell’economia? […]