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Nel mondo dei motori a combustione interna a uso automobilistico non vi sono molte scelte: molto probabilmente sotto al cofano della vostra auto potrete trovare un dato numero di pistoni, che vanno su e giù, collegati attraverso bielle a un albero a gomiti, e così via. Una sola alternativa a questo tipo di propulsore è mai arrivata, in modo stabile, sulle linee di produzione.

Felix Wankel, un ingegnere tedesco, ultimò nel secondo dopoguerra lo sviluppo del motore rotativo che porta il suo nome. La prima applicazione commerciale di larga scala fu nel 1967, esattamente 50 anni fa, nella NSU Ro 80, la prima auto tedesca a ricevere il premio di Auto dell’Anno.

Il motore Wankel, anziché i classici pistoni, utilizza un rotore triangolare che ruota attorno a un asse, all’interno di un involucro ovoidale. A parole è difficile da spiegare, ma basta guardare una delle tante animazioni disponibili sul Web per capirne il funzionamento.

Complice il clima del periodo, fortemente votato al progresso (sono gli anni della corsa allo spazio), molti negoziarono licenze di produzione, iniziando a studiare possibili applicazioni. Ma non è oro tutto ciò che luccica: il nuovo motore aveva i suoi difetti. Nei primi anni di vita, qualche iniziale problema di affidabilità, unito alla scarsa formazione della rete di assistenza, creò non pochi danni all’immagine (e alle casse) di NSU, che finì assorbita da Volkswagen, per confluire nella neonata Audi.

Poi arrivarono gli anni ‘70, con le crisi energetiche e le prime campagne ambientaliste: ci si rese conto che il motore Wankel, con i suoi consumi maggiori e minor rendimento, non era il prodigio ritenuto in precedenza. Una sola azienda, nel lontano Oriente, persistette: a partire dal 1978, Wankel divenne sinonimo di Mazda, grazie in particolare a un modello della casa nipponica, la sportiva RX-7, che seppe sfruttare forse l’unico vero vantaggio di quel motore, la grande potenza raggiunta con cilindrate tradizionalmente basse.

La massima espressione automobilistica di questo propulsore, è la Mazda 787B, che nel 1991 divenne l’unica vettura giapponese (forse ancora per poco) a vincere la prestigiosa 24 Ore di Le Mans.

Nel decennio scorso, con l’arrivo della RX-8, il canto del cigno del propulsore rotativo, la magia è finita, con buona pace di quella generazione di ragazzi degli anni ‘90 cresciuti davanti alla Playstation e a Gran Turismo. Mazda continua con le innovazioni, come SKYACTIV-X, ma per propulsori tradizionali.

Tuttavia torna con forza la notizia che la casa nipponica vuole riportare in vita il motore Wankel non come propulsore principale, bensì come range extender per vetture elettriche, grazie al fatto che produce meno vibrazioni rispetto ai classici motori alternativi.

In questo periodo, tra serie tv e film vari, si sente spesso parlare di zombie: subito il paragone mi è venuto spontaneo. E con esso una riflessione: perché riportare in vita un motore dalla vocazione decisamente sportiva, per relegarlo a un ruolo secondario? D’altra parte, però, come non apprezzare la perseveranza di Mazda, che non vuole lasciare andare questa importante parte della sua storia?

Chissà se il Wankel resterà un morto vivente, o si potrà parlare di vera e propria resurrezione.

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