Andate a vedere al cinema “Sorry, we missed you” di Ken Loach e non perché all’uscita magari tornate a casa a disdire Amazon Prime, come dice di origliare Gabriele Romagnoli per la sua rubrica su Repubblica. Andatelo a vedere: è un pugno allo stomaco, ma a noi spettatori non succederà nient’altro.

A 83 anni, Loach narra in modo asciutto un tipo di lavoro on the road dei nostri tempi: 14 ore al giorno per sei giorni alla settimana alla guida di un furgone per consegnare pacchi, con i minuti scanditi dal bip di un pc tascabile che governa la vita umana tramite un algoritmo. Roba da schiavitù medievale con tecnologia.

Ken Loach non tradisce mai, e il suo on the road non è metafora di ribellioni generazionali e di letteratura, ma fotografia di uno sfruttamento del lavoro che oggi prende troppo spesso forme digitali. Guidare è un po’ morire in questo caso – attenzione, non è la trama, odio chi le racconta:  è che alla fine del film viene voglia di stendersi a terra e provare a fermare tutto.

“Sorry, we missed you” è tante cose, ne dico una: dare dignità a ultimi che non saranno mai i primi e Ken Loach ci riesce. Se poi stasera fosse una serataccia di vento e pioggia e rinunciate a ordinare una pizza, beh il film valeva il prezzo del biglietto.

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