C’è sempre un piano B. Perché non si sa mai, perché una exit strategy fa parte della vita, perché nessuno vuole perdere. Ma in genere lo si tiene in tasca, facendo tutto al più sospettare che è lì, finché non serve. Su Pomigliano, l’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne ha fatto il suo piano B e lo ha agitato a mo’ di clava contro tutti, dicendo che «non è uno scherzo», che «è pronto» e che in realtà è una specie di piano Marshall al contrario: senza una risposta affermativa dei sindacati, la Fiat è pronta a spostare la produzione (la «baracca») all’estero.
Il piano B è naturalmente fatto di numeri, oltre che di soldi da investire e di politica industriale che in Italia non c’è e altrove sì. A Pomigliano nel 2009 sono state prodotte soltanto 36.000 vetture (tutte Alfa Romeo) a fronte di una capacità produttiva di 240.000 unità. La colpa sarà stata pure un po’ degli operai, ma molta anche dell’azienda, perché se i prodotti non vengono richiesti dal mercato, vuol dire che non hanno abbastanza appeal. Per dire: nel 2005, l’Alfa 159 berlina e station, la coupé e la spider Brera erano state lanciate da Pomigliano con un obiettivo di vendita annua di 120.000 unità, mai raggiunto e certo non a causa di chi le ha costruite. L’anno scorso, a Pomigliano le due 159, la 147 a fine corsa (sostituita dalla Giulietta che si fa a Cassino) e la GT si sono praticamente fermate. Ma il problema capitale è che le vendite complessive di Alfa Romeo nel mondo sono state 102.000 nel 2009, poco meno che nel 1970 tanto per dare un’idea di quanto questo magnifico marchio – che si appresta a compiere cent’anni il 24 giugno – costi al gruppo in termini di perdite. Mentre il futuro dell’Alfa Romeo, con nuovi obiettivi di vendita di 120.000 unità entro la fine del 2010 e di 500.000 entro il 2014, non parlerà più campano, ma molto americano. Due nuove Alfa che sui mercati vanno per la maggiore, crossover e suv, saranno costruite negli stabilimenti Chrysler a partire dal 2012 e poi dal 2014.
Per Pomigliano, nel piano A di Marchionne c’è scritto che verrà portata entro il 2011 una sola linea, quella della nuova Fiat Panda, macchina di successo prodotta in 290.000 unità nel 2009. L’obiettivo è riempire la capacità produttiva della fabbrica, portandola dal 14% dell’anno scorso al 90% nel 2014. La linea verrà spostata dalla fabbrica polacca di Tychy, centro d’eccellenza produttivo secondo gli standard europei, dove sempre nel 2009 sono state prodotte 600.000 vetture (di cui 290.000 Panda) con 6.100 addetti. A Pomigliano gli addetti erano 5.200 e saranno 4.700 secondo il piano concordato di mobilità e prepensionamenti. Ma nel confronto con Tychy, la partita occupazionale rischia di essere ancora da piano B, cioè brutta.
Gli obiettivi di vendita di Marchionne per la nuova Panda (come per il resto, ricordiamolo: 3,8 milioni di vetture vendute entro il 2014 dalle 2,3 del 2009) sono appesi a un mercato in discesa per quel che riguarda l’Europa. In maggio in Germania, dove l’anno scorso il governo dava 5.000 euro per l’acquisto di un’auto piccola e dai bassi consumi come la Panda, la Fiat è crollata del 49,3%, l’Alfa del 65,6% e la Lancia del 61,3%. Gli incentivi alla rottamazione sono finiti quasi ovunque in Europa e domani, se i governi avranno qualche euro per l’auto, li mettranno sull’elettrica, cioè su poche macchine per almeno un lustro. La borsa di Milano ieri mattina premiava il titolo Fiat sulla scia delle vendite brillanti di maggio della sua controllata Chrysler in America (+32,7%), ma è un segno che con Pomigliano non c’entra nulla. Anche perché la borsa dovrebbe sapere che negli Stati Uniti i dati della ripresa delle vendite sono ancora molto oscillanti (le proiezioni annuali sono scese sotto quelle fatte in marzo) e che le strozzature del credito al consumo sono ancora forti.
Nel piano B di Marchionne c’è scritto che «la baracca» produttiva all’estero è quella – a oggi – con un futuro migliore. Se in Brasile va a gonfie vele e a Torino prevedono soddisfazioni dalla fabbrica serba di Kragujevac, la Fiat punta su tre joint venture nei tre mercati che più rapidamente stanno lasciandosi alle spalle la crisi: una in Cina, una in Russia e una in India. Un piano C non esiste, se non volgarizzandolo un po’ e tradurlo liberamente in piano della fortuna. Per Pomigliano e non solo.

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