Per il direttore finanziario della Honda, Yoichi Hojo,  i recenti aumenti ottenuti dagli operai cinesi in sciopero nelle due joint venture sino-giapponesi Gunagqi Honda e Dongfeng Honda, non avranno nessun impatto sui conti.  Il secondo trimestre in corso luglio-settembre (l’anno fiscale giapponese termina il 31 marzo) si chiuderà senza problemi, nonostante gli scioperi abbiano fermato la produzione per alcune settimane a maggio bloccando circa 20.000 vetture e i lavoratori abbiano portato a casa aumenti salariali appena sotto il 10%.  Hojo si dice tranquillo, perché il costo del lavoro in Cina nelle sue fabbriche incide soltanto per il 2%, cioè quasi nulla, mentre le vendite di automobili continuano a salire. In luglio del 6,6% nella prima joint venture, del 21% nella seconda, dopo un secondo trimestre chiuso con utili record.

Le parole del direttore finanziario della Honda fanno capire – se ce ne fosse ancora bisogno – come i problemi dell’industria dell’automobile con i bilanci in rosso non sono mai colpa dei lavoratori, ma di scelte manageriali sbagliate, dalla strategie al prodotto. Anche l’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne – nella sua prima vita a Torino “avanti Cristo”, per citare le sue parole – aveva ripetuto che la bancarotta sfiorata dalla Fiat nel 2004 non dipendeva dal costo del lavoro, che in Italia incide soltanto per il 6 o 7%, ma da chi l’aveva preceduto al volante. Peccato che adesso il suo sforzo sia concentrato a tagliare alcuni diritti dei lavoratori in Italia, sul modello americano (e meno male non cinese).

Negli Stati Uniti, il sindacato dei metalmeccanici Uaw ha accettato l’anno scorso riduzioni di salario oltre che una pesante sforbiciata ai diritti,  dopo la bancarotta di Gm e Chrysler causata sempre dai management e non dagli operai. Ulteriore paradosso è che Uaw almeno è presente nelle fabbriche Gm, Chrysler e Ford, mentre negli stabilimenti di costruttori europei e giapponesi spesso non c’è. La nuova fabbrica della Volkswagen che sarà inaugurata l’anno prossimo a Chattanooga (Tennessee), sarà un’azienda “no union”, non sindacalizzata. Magari negli Usa si torna ad assumere, oggi ci sono 50.000 posti in più nell’auto rispetto all’ anno scorso (Sean McAlinden, capo economista del Center for Automotive Research di Ann Arbor), ma anche la metà delle fabbriche aperte delle Tre di Detroit rispetto a dieci anni fa.

Insomma, lavoratori tenete duro, ovunque voi siate.

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