Alcuni lettori (cerioni, lucius56, thomas)  hanno commentato il nuovo mondo di Marchionne scrivendo che c’è aria di un ritorno al feudalesimo o all’ottocento. Il contratto che la Fiat vuole imporre ai lavoratori (ma anche alla Confindustria) prevede sostanzialmente che in fabbrica si lavori senza se e senza ma per raggiungere tutti insieme gli obiettivi aziendali. E considera meno di un effetto collaterale se, per strada, i lavoratori perdessero alcuni diritti conquistati a fatica in decenni di lotta. Dentro la Cgil, non è un caso che ad arrabbiarsi più di tutti siano stati  i pensionati dello Spi, non solo maggioritari nel più grande sindacato italiano ma in gran parte autori di quelle conquiste. 

La fine della lotta di classe evocata sia da Emma Marcegaglia che dall’amministratore delegato della Fiat  però continua. Paradossalmente, anche dentro una sola classe: dopo la Fiom, a criticare più pesantemente Marchionne è stato Cesare Romiti, ex presidente del gruppo, in un’intervista al Corriere della Sera di sabato scorso.  Né il resto del mondo va come vorrebbe il capo del Lingotto. Perché tra la nuova società imposta per la fabbrica di Pomigliano – dove la Fiat potrà licenziare tutti e riassumere soltanto chi accetterà  il nuovo contratto – e l’accordo con il sindacato nordamericano Uaw che vieta di scioperare in Chrysler fino al 2014, c’è ancora lotta di classe: dalla Cina, come ricordava un altro lettore (Raffaele), al Sudafrica, dove la settimana scorsa la Volkswagen, la Toyota e la General Motors hanno accordato agli operai delle loro fabbriche un aumento dei salari del 10% quest’anno, del 9% per i prossimi due anni. Nessun regalo: i lavoratori hanno dovuto bloccare la produzione di circa 17.000 auto per otto giorni, prima di ottenere l’aumento. In  Sudafrica, le tre Case insieme a Ford, Nissan, Bmw e Daimler producono annualmente 420.000 automobili, esportate in Africa, in Europa e in Nordamerica. E’ la globalizzazione da terzo millennio. Mentre in Italia, per dialogare ancora con i lettori, se non di feudalesimo c’è effettivamente odore di Ottocento: che sia un modo di  festeggiare i 150 anni dell’unità d’Italia?

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