(Mercato al via. Martedì 12 ottobre con il giornale esce il supplemento Autocritica, dedicato alla mobilità elettrica. Il pezzo che segue è l’antipasto di un supplemento ricco di ben altre portate. L’edicola vi aspetta) 

Di ritorno dal Salone dell’auto di Parigi, possiamo dire che l’auto elettrica è ormai una realtà. Nel senso più pratico e prosaico: in Italia, dalla fine dell’anno, basta spendere circa 36.000 euro o fare un leasing mensile di circa 600 euro e ci si potrà mettere al volante di una macchina non più alimentata con un motore termico. Tre modelli subito, altre due a seguire e poi gli altri (di nomi, prezzi e infrastrutture ne parliamo a pagina 15). Tanti soldi per avere più o meno – per adesso – tre metri e mezzo di macchina che costa quanto una tradizionale Mercedes C o una Bmw serie 3.

A Parigi, tutti i costruttori hanno preso impegni, pochi si sono sbilanciati, qualcuno è stato riluttante. Per non far subito nomi, lo stato dell’arte lo si può fotografare con l’aiuto dell’eterno Sun Tzu: «Coloro che elaborano piani intelligenti devono tener conto dei vantaggi e dei danni. Se tengono conti dei vantaggi, i loro sforzi acquisteranno credibilità, se tengono conto dei danni, potranno aver ragione delle asperità».

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Di ritorno dal Salone dell’auto di Parigi, due o tre impressioni vanno raccontate, prima di dar conto di cosa hanno detto (e non detto) alcuni protagonisti del settore.

1) Ok, i prezzi delle prime macchine a volt sono da aficionados, ma chi ricorda quanto si è pagato per il primo iPhone o il primo notebook? E quanto si è pagato il modello successivo?

2) Manuale per gli utenti, facile facile: 2 euro e mezzo in Italia (dove la luce è mediamente più cara rispetto all’Europa) per un pieno di volt, necessario a percorrere 160 chilometri, contro i 10 euro per la benzina e più o meno i 7,5 euro per il diesel. Costi e autonomia media dichiarati dalle Case. Ma sufficienti per farsi due conti da soli e capire in quanto tempo si recupera il prezzo d’acquisto largamente superiore di un veicolo elettrico rispetto a uno tradizionale. Se poi restaste e a piedi e non sapeste dove attaccare la spina, niente paura: i contratti d’acquisto prevedono l’assistenza del concessionario. Fidarsi, sarà una rivoluzione culturale.

3) Sembra incredibile, ma sia ingegneri che direttori marketing di tutti i costruttori parlano – se interrogati sull’auto elettrica – soltanto di quanti pochi chilometri noi cittadini europei percorriamo al volante ogni giorno. Ma quando mai un venditore ci ha convinto a comprare una macchina con l’auspicio che tanto non la useremo? Da oggi tutto cambia, la nostra vita si svolge in un fazzoletto di asfalto per cui l’autonomia limitata dell’auto elettrica è quasi benvenuta. Insomma: che ci faremmo con un pieno di tensione a bordo da 500 o più chilometri?

4) L’auto elettrica si affermerà sul serio per tanti motivi. Fra i primi, vi abbiamo già detto del nostro fideismo laico in quel che fa Warren Buffett, il celebre finanziere americano che non sbaglia mai un colpo nemmeno in piena grande crisi. Il quale ha investito a occhi chiusi due anni fa sulla cinese Byd (Build your dream), costruttore di batterie per cellulari e ora all’avanguardia quale costruttore di auto elettriche. Oggi c’è il governo della Cina a investire l’equivalente di circa 10 miliardi di euro sul settore e se lo fa Pechino, dove siedono i massimi esperti mondiali di lunghe marce, è sicuro che la cosa è certa. E poi sono passati cent’anni da quando l’invenzione del motorino d’avviamento elettrico ha deciso che l’auto sarebbe andata a benzina. Sarebbe ora di cominciare a prendersi qualche rivincita.

5) L’auto elettrica si affermerà soprattutto attraverso internet. Non alla stessa velocità del mezzo, ma sarà la Rete a dare sprint e visibilità massima al nuovo fine. Del resto, già questo succede con i veicoli tradizionali (attraverso i quali passerà per molto tempo il vero business dell’industria, sia chiaro), ma nel complesso poco in Europa e molto negli Stati Uniti e in Cina. Se nel Novecento l’auto si è sposata con la pubblicità, nel terzo millennnio l’auto si sta sposando con i social media. L’elettrica dovrà soltanto connettersi. La Ford, per esempio, dopo aver lanciato in Cina esclusivamente via internet la normale Fiesta europea e dopo aver usato la rete massicciamente per fare accettare la piccola agli americani, lancerà agli inizi del 2011 la Focus normale appena più grande su 120 mercati mondiali e in contemporanea via Facebook. «Ci rivolgeremo a 500 milioni di potenziali utenti», dice Steve Odell, neocapo di Ford Europe. En passant, la Focus elettrica sarà la prima macchina elettrica del gruppo, vedremo a quanti byte andrà.

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Di ritorno dal Salone di Parigi, ci è apparso scontato che Renault e Peugeot-Citroen (Psa) abbiano giocato in casa, essendo anche loro le prime macchine a essere vendute sul mercato europeo. Non era scontato però che i due gruppi francesi si presentassero in modo così diverso. Per Citroen e Peugeot hanno preso la parola davanti alla stampa internazionale i direttori dei marchi e non il presidente del gruppo Philippe Varin. Perdipiù, entrambi hanno insistito molto più sull’ibrido che sull’elettrico, cioè sulla tecnologia che si può definire l’avanguardia del nuovo sistema di mobilità, con prezzi più accettabili per i clienti e con un margine più vicino per il venditore. Per la Renault ha parlato invece il numero uno Carlos Ghosn, che oltre a ripresentare i quattro modelli di casa con cui aveva fatto scena l’anno scorso al salone di Francoforte, ha voluto dare con la sua presenza un segno tangibile della scommessa da 4 miliardi di euro di investimenti sull’auto elettrica, «capitolo decisivo della nostra storia».

Ghosn non si è limitato a magnificare le sue creature e indicare «prezzi paragonabili a quelli di auto equivalenti con motore termici». Ha lanciato un messaggio in qualche modo sorprendente: ehi, l’auto elettrica è un’auto normale. Siccome ci stava vicino, tiriamo la giacca a Jacques Bousquet, direttore generale di Renault Italia che sta già pensando a come venderla nel nostro paese fra pochi mesi e conferma: «Sì, nessun compromesso, è un’auto normale. Oggi dimostriamo che si può fare e che esiste».

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Di ritorno dal Salone di Parigi, l’Italia berlusconiana è avvilentissima anche sull’auto elettrica. Da noi non c’è nessun incentivo specifico all’acquisto o in detrazioni fiscali, come invece accade nella maggior parte dei paesi europei. Parliamo mediamente di 5.000 euro, quelli che permetterebbero ai costruttori di tenere più o meno a vista i conti e un giorno (lontano) di raggiungere il break even. Il problema, se così si può dire, è che il nostro governo ha la testa altrove e che la Fiat, unico costruttore nazionale, ha frenato sull’auto elettrica. Tanto che la prima sarà la 500, arriverà nel 2012 come la maggior parte delle concorrenti ma sarà fatta dalla controllata Chrysler, dove sono più avanti nella tecnologia perché l’amministrazione Obama ci ha messo i suoi soldi.

Sergio Marchionne, l’amministratore delegato del gruppo, lo ripete a voce alta in ogni occasione: per lui, questo gran parlare di mobilità a volt porta al «rischio di spostare tutta l’enfasi dei regolamenti europei su questa unica tecnologia», mentre «gli ostacoli a un’ampia diffusione dell’elettrico sono ancora molti». Per cui Fiat va piano e, chissà che si faccia bene a pensar male, aspetta che il governo italiano ci metta dei soldi come in Europa e negli Stati uniti.

Gli incentivi non li vogliamo per tutta la vita, dice furbo Ghosn, e Bousquet precisa: al lancio e almeno per i primi cinque anni, il «tempo di beneficiare delle economie di scala nella produzione delle batterie e rendere competitiva questa tecnologia. Poi ci penserà il mercato». Oddio, ils sont fous ces Françaises se pensano, come dicono a voce alta, che per trovare dei soldi da investire nel settore, al governo basterebbe imporre una tassa su chi inquina di più. Bousquet per adesso punta sull’Italia federalista, sulle regioni interessate a sperimentare con i costruttori (da tradurre: pronte a investire) per rendere accessibile la macchina a zero emissioni. E a «zero difficoltà a venderla». Prego? «Le ricerche ci dicono che in Europa come in Italia c’è un 25 per cento di persone molte interessate, un altro 25 per cento favorevole, un altro 25 scettico e un altro 25 non interessato. La metà sono dunque potenziali clienti e noi puntiamo a raggiungere con l’elettrico entro il 2020 solo il 10 per cento del mercato. Metteremo in vendita le nostre vetture a prezzi competitivi. Con o senza incentivi».

Nel frattempo è arrivata alla Camera una proposta di legge presentata da Agostino Ghiglia (Pdl), a favore della realizzazione di una rete infrastrutturale per la ricarica e di un incentivo all’acquisto di 5.000 euro, allineato a quel che avviene nel resto d’Europa. Toccherà al ministro dell’economia Giulio Tremonti rispondere. La spina, per ora, resta staccata.

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Di ritorno dal Salone di Parigi, a parte lo scatenato padrone di casa Ghosn, diversi altri numero uno sono venuti per dire che l’auto elettrica è un po’ come la vecchia o il vecchio zio, simpatica ma da prendere con le pinze. Anche se ormai è chiaro per tutti che non finirà più zero a zero, per mischiare metafore calcististiche e livelli di emissione.

Marchionne, da uomo di finanza, è il più scettico. Perché è evidente che a questi costi e con queste tecnologie, l’elettrificazione dei veicoli è un rischio per bilanci già a rischio. Alan Mulally, il grande capo della Ford atterrato a Parigi per prendersi gli applausi dopo aver salvato il marchio dell’ovale blu senza finire in bancarotta e senza accedere ai prestiti della Casa Bianca come hanno fatto Gm e Chrysler, la pensa un po’ come Marchionne. Ma lo dice in maniera più soft e sopratutto ha annunciato 5 modelli (contro l’1 del capo del gruppo italiano).Dieter Zetsche, boss di Daimler, avverte che non ci sarà ritorno sull’auto elettrica per cinque o per dieci anni e che nessuno lo sa davvero quando il mercato assorbirà il 5 o il 10 per cento delle vendite di auto elettriche o ibride. Lo sapremo «solo quando accadrà». Norbert Reithofer, alla guida del gruppo Bmw appena costretto ad abbandonare i suoi programmi sull’idrogeno sui quali era più avanti degli altri, dice infine una verità che non sarà politicamente corretta, che non sarà rivoluzionaria, ma con un grande fondamento: una vendita redditizia di auto tradizionali servirà a finanziare l’auto elettrica. Che sia anche per questo che gli hanno appena rinnovato il contratto per altri cinque anni, senza un battito di ciglia?

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