L’auto elettrica divide. E basandosi su batterie, potrebbe essere perfino giusto che i due poli non si tocchino: il negativo e il positivo. Carlos Ghosn, presidente del gruppo Renault-Nissan che sulla nuova propulsione ha già investito quattro miliardi di euro e sta per lanciare sul mercato quattro modelli francesi e uno giapponese a zero emissioni, una sera dello scorso inverno a Detroit è sbottato con i suoi scettici interlocutori – colleghi di costruttori americani e analisti di ogni bandiera: continuate pure a non credere ai miei numeri, ma l’auto elettrica si farà lo stesso.
Ghosn prevede per Renault e Nissan la produzione di mezzo milione di vetture elettriche nel 2013 e l’entrata in circolazione nel mondo di circa 6 o 7 milioni di questo tipo di vetture nel 2014, il 10 per cento del mercato. Poche e tantissime nello stesso tempo, se si considera che le prime auto totalmente elettriche saranno in vendita da questo dicembre e tutti i costruttori impegnati in questa corsa lenta non pensano di produrre per il 2011 non più di 10.000 unità per le loro quattro ruote a batterie. Oltre a Renault e Nissan, all’avangardia mondiale, ci sono i giapponesi di Mitsubishi, Peugeot-Citroen, Mercedes-Smart, Gm, seguiti per amore o per forza dal resto del mondo, dai giapponesi Toyota e Honda (che hanno iniziato per primi con il motore ibrido, elettrico più motore a benzina), ai tedeschi del gruppo Volkswagen e del gruppo Bmw, agli americani della Ford.
La Fiat è in coda, dopo avere annunciato la sua prima elettrica per il 2012, una Fiat 500 trasformata dal partner americano Chrysler. La Cina, come sistema paese è in cima, dopo avere deciso investimenti miliardari che inevitabilmente traineranno più prima che poi anche gli scettici.
La filiera del cambio di stagione è chiara: 1) l’allarme ambientale dei cittadini-elettori spinge i cittadini-governanti a favorire regole più stringenti in fatto di emissioni (dalla California in giù, con l’Italia berlusconiana sempre in coda); 2) l’industria dell’auto è così costretta a rispondere alle nuove regole per evitare più costose sanzioni, trattando con i governi in cambio di aiutini pubblici dove può (Stati Uniti, Canada, Cina, Francia, Danimarca, Gran Bretagna, Germania, Israele, il gruppo d’avanguardia); 3) la tecnologia fa da sponda, perché giorno dopo giorno migliora le prestazioni delle batterie ancora troppo limitate (160 chilometri di autonomia media oggi, 250 fra dieci anni) e ne diminuisce i costi, ancora troppo elevati per pensare a un mercato non di nicchia; 4) i consumatori, entusiasti in tutti i sondaggi del mondo, si avvicinano al nuovo prodotto attratti dalla novità ambiental-tecnologica, dai bonus fiscali lì dove esistono, dai due euro e mezzo necessari per percorrere 100 chilometri invece degli 8 andando a benzina, ma ancora preoccupati da un prezzo che lascia a desiderare rispetto a quello di un’auto con motore termico.
In un recente sondaggio condotto dalla Renault, le domande dei potenziali clienti di una macchina elettrica sono le seguenti, in ordine di apparizione: 1) Infrastrutture/ricarica. Cioè: quando le nostre città e i nostri piccoli centri saranno dotate di colonnine pubbliche di ricarica, oltre al fatto che il fortunato possessore di un garage potrà attaccare la spina della sua zero emissioni e andare al mattino in ufficio senza patemi? 2) Autonomia. Cioè: quanto sono reali i 160 chilometri dichiarati di un «pieno», sapendo che alcune condizioni meteo o stradali fanno consumare di più (freddo intenso, salite, giorno/notte)? E sapendo pure che, nei rilevamenti fatti dalla Renault, l’87% delle auto percorrono in Europa mediamente meno di 60 chilometri al giorno? 3) Affidabilità/sicurezza. Cioè: i concessionari sono in grado di occuparsi di me, se resto a piedi con batterie scariche o per un altro motivo? 4) Gestione batteria. Cioè: conviene noleggiare la batteria e farsela cambiare al minimo problema, oppure la compro insieme alla macchina, come si fa adesso con le auto tradizionali? 5) Costo acquisto/uso. Cioè: perché devo spendere tanti soldi in più rispetto a un’auto normale, per avere tante prestazioni in meno?
Il costruttore risponde ovviamente in modo comprensivo. Come farebbero o faranno tutti i suoi concorrenti, man mano che le auto elettriche entrano in listino. I francesi si distinguono però su due punti: il primo è nella proposta di noleggiare la batteria invece che di comprarla; il secondo è nell’annunciato prezzo competitivo dei suoi prossimi modelli rispetto a quello delle auto normali. La strada resta comunque lunga e tortuosa: la Nissan Leaf dello stesso gruppo, per dire, viene venduta batteria inclusa e non con il noleggio; a un prezzo interessante ma alto, e c’è boom di prenotazioni negli Stati Uniti, mercato d’esordio.
In questo mare magnum di speranze e omissioni, due domande-paletto possono servire da orientamento.
La domanda senza risposta, che vale per la Renault, per la Nissan e per tutte le altre Case, è: ma fino a quando l’auto elettrica sarà venduta in perdita? Programmare il ritorno dell’investimento, ovviamente, si fa sempre. Il problema è che a volte il ritorno non c’è, o torna troppo tardi. Capita quando si sbaglia modello o quando si fanno investimenti massicci per un modello totalmente nuovo. Il caso Mini del gruppo Bmw è da questo punto di vista esemplare: profondo rosso in conto, ma ripianamento dell’investimento e utili in anticipo, contro le previsioni dei concorrenti.
La domanda con risposta, che vale sempre per tutti e questa volta anche per noi consumatori, è: se il petrolio prima o poi finirà davvero, di litio necessario a produrre le batterie per l’auto elettrica ce ne è abbastanza, anche nel caso diventassimo tutti pazzi di lei? Le riserve mondiali dicono sì: si stimano dai 14 ai 17 milioni di tonnellate, equivalenti a 4,7 miliardi di batterie. In Asia e Sudamerica, Bolivia.
(Da “Gasati”, supplemento dedicato all’ambiente, all’energia, ai trasporti, in uscita martedì 7 dicembre insieme al quotidiano “il manifesto”)