Il risultato del referendum di Mirafiori è il peggiore dei risultati possibili per Sergio Marchionne. Il 46% dei no e il 54% dei sì grazie al voto degli impiegati non gli permette né di abbandonare né di governare. Sicuramente, è un risultato che si aspettava, avendo usato ogni mezzo mediatico per minacciare, dunque con parziale effetto boomerang: non come a Pomigliano, dove il 36% di no (40, senza il voto favorevole degli impiegati) lo aveva sorpreso e indispettito. Di fronte a sé, l’amministratore delegato del gruppo Fiat-Chrysler ha ora ipoteticamente solo una terza via da qui al 2012, quando dovrebbe cominciare la nuova produzione di Alfa Romeo Giulia, suv Jeep e suv Alfa (più la continuazione di Alfa Mito per almeno un anno, poi si vedrà) : vendere l’Alfa Romeo alla Volkswagen con la fabbrica di Mirafiori compresa. Tecnicamente, basterebbe riportare la sola produzione di suv Jeep in Canada o negli Stati Uniti e togliere la Giulietta da Cassino. Mirafiori sarebbe una signora fabbrica per l’impero Vw, a Marchionne basterebbero (e avanzerebbero) Melfi, Cassino e Pomigliano per la Panda. Tre impianti per una Fiat di sole auto piccole e medio-piccole come ridisegnata nel piano quinquennale del 21 aprile scorso, cercando la maggiore redditività con le più grandi Jeep e Chrysler/Lancia.  La cessione dell’Alfa Romeo servirebbe per una nuova ripartenza del gruppo alla ricerca di altri partner, mettendo in cassa una cifra oscillante intorno ai 2 miliardi di euro. La storia è con Marchionne: nel 2005, il manager strappò 2 miliardi di dollari alla General Motors per una separazione consensuale, fondamentali per allontanare la Fiat dal fallimento e rilanciare. La notte di Mirafiori potrebbe essere più lunga di quanto è stata.

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