Nell’intervista al direttore di Repubblica di martedì 18, Sergio Marchionne non fa un passo indietro su Mirafiori, ma almeno una ammissione importante: la comunicazione della Fiat ha fallito (“una ciofeca”, l’ha definita). Dal giugno del 2004, da quando è diventato amministratore delegato del gruppo, Marchionne ha di fatto gestito in proprio la comunicazione. Eventuali successi e rovesci sono stati (quasi) esclusivamente opera sua. Paradossalmente ma non troppo, ha parlato pochissimo e ha evitato la tv mentre salvava la Fiat dal baratro e la rilanciava. Ha cominciato a parlare molto e a usare la tv (scegliendo l’appuntamento più facile con Fabio Fazio) mentre stravolgeva le relazioni industriali e sindacali del paese. Tutto questo senza mai cambiare linguaggio, in cui – come nota Furio Colombo su Il Fatto – “non esiste la terra di mezzo”.  Come se i numeri di bilancio snocciolati agli analisti potessero avere lo stesso impatto di quelli buttati addosso ai lavoratori.

Nell’intervista a il manifesto, Maurizio Landini- cui ho chiesto semplicemente di rispondere alle risposte di Marchionne a Repubblica –  dimostra di avere una marcia in più nella comunicazione. Diretto e secco quanto il manager nel linguaggio, il segretario generale della Fiom è però caldo nel legare alle questioni del lavoro e della metrica delle linee di montaggio concetti chiave come dignità.  Al contrario, Marchionne tende a scivolare appena esce dai numeri o dai diktat: tipo, quello di Mirafiori è un pessimo accordo (uno schiaffo ai sindacati amici e ai lavoratori del sì) o anche  “se avesse vinto il no, avremmo brindato a Detroit”.  Parole ultime che – come mi ricorda un’amica torinese che con Fiom e fabbriche non c’entra nulla –  all’ombra della Mole difficilmente in molti dimenticheranno.

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