Marchionne assomiglia sempre più a quei tipi di generali che avanzano senza più rispondere al loro re e alla loro corte. Dal fronte americano ha fatto sapere che Fiat e Chrysler «nei prossimi due o tre anni, potrebbero essere una sola entità. Con base qui», cioè in America. Nulla di non scritto su “il manifesto” e su questo blog, avendo preso con serietà il piano dell’amministratore delegato del 21 aprile scorso, in cui si prefigura una Chrysler che farà da casa madre. Ma che adesso lo dica lo stesso Marchionne, spinto nel giro di 24 ore a smentirsi a metà dopo aver scatenato un putiferio, un certo effetto lo fa. Un effetto terribile per Chiamparino, che ha sempre sostenuto il contrario e ora grida «inaccettabile», per i Bonanni rimasti afoni e soprattutto per l’azionista di riferimento.

Il presidente Elkann assai raramente parla in pubblico, ma nel paio di volte costretto a farlo, ha affermato che la Fiat non lascerà il paese. Ora le nuove parole sul trasferimento sono state solo un’ipotesi, ha minimizzato il ministro Sacconi prima di sentire Marchionne al telefono per ottenere rassicurazioni che non sia stata neanche un’ipotesi. Resta che il manager sembra insistere nel voler smentire il suo capo. Oggi su Fiat-Chrysler, l’anno scorso su Confindustria: Elkann ne era appena diventato vicepresidente e il manager minacciava di portare la Fiat fuori dall’associazione. Non è mai capitato nella migliore Famiglia.

Tra i motivi che fanno ipotizzare il trasloco oltremare della testa o del cuore della Fiat, Marchionne racconta ai suoi interlocutori americani che «nel Belpaese si fa troppo politica». Ma se sposterà il baricentro di Fiat-Chrysler da Torino nei sobborghi di Detroit, il manager lo farà proprio perché in Italia non c’è politica, né governo. Negli ultimi due anni, ha sempre firmato i migliori accordi dove ha trovato politiche industriali strutturate, che gli hanno messo a disposizione ingenti fondi pubblici: Stati Uniti, Russia, Serbia. In Germania, Marchionne ha perso la Opel perché la politica nulla ha potuto di fronte al no della casa madre General Motors. In un paese senza politica come il nostro, alla Fiat potrebbe capitare presto che la verità sia fatta a stelle e a strisce.

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