Futuro americano per Fiat? L’azienda ha smentito con poche righe una storia di dieci pagine dell’agenzia Reuters firmata da tre giornalisti, più additional reporting di altri tre colleghi, più editing di altre tre persone). La notizia sarebbe a pagina 8: «Il luogo dove stabilire la sede legale è dove si pagano le tasse – dice una seconda fonte ai vertici Fiat – se in Italia si pagano il 70 per cento di tasse e solo il 30 negli Stati Uniti, non c’è da scervellarsi su dove andare». «Si tratta – replica una nota Fiat – con tutta evidenza di informazioni non attuali come appare chiaro dal fatto che siano state pubblicate all’interno, e senza particolare evidenza, di un lungo report sulla Fiat. La scelta non è stata ancora fatta». Così oggi. Domani, una volta riportata la Chrysler in borsa entro la fine dell’anno («Christmas wish», parola di Marchionne) con la Fiat al 51%, è chiaro che il destino della sede legale resta segnato in chiave americana. Perché è in Chrysler che ci saranno i veri soldi, perché l’amministrazione Obama non ha prestato miliardi di dollari a Marchionne per salvare l’azienda di Auburn Hills e farla diventare italiana, perché lo stesso Marchionne lo fa capire in una intervista a Report, trasmissione di Rai 3, in onda domenica sera. Quando dice che, a quel punto, non si potranno avere due quotazioni su due piazze diverse: «C’è un problema di governance», e tra Milano e Wall Street non c’è partita.

Nel lavoro dei nove colleghi della Reuters ci sono comunque spunti interessanti, insieme a molte cose note. L’amministratore delegato, dipinto come una rock star («Elvis Presley», parola di un banchiere americano), è un uomo solo al comando e ha con sé soltanto il presidente e azionista di riferimento del gruppo, John Elkann («l’unica persona», solitudine, del resto, che capita ai numeri primi). Reuters aggiunge che «alcuni insiders lamentano che Marchionne tenga le sue carte nel cassetto, che raramente informi il consiglio di amministrazione delle decisioni che sta per prendere e che spesso tenga all’oscuro dei piani i suoi uomini fino all’ultimo minuto». L’agenzia cita poi Goldman Sachs e Morgan Stanley come le due banche più coinvolte nell’operazione di ritorno in borsa di Chrysler, le stesse che più avevano perso soldi ai tempi della bancarotta pilotata.

Ma tutta la vicenda odora di business anche nella possibile quotazione in borsa della Ferrari, ipotesi già in campo e che Reuters rilancia parlando di un valore di 5 miliardi di euro, uno in più rispetto alle ultime chiacchiere (mica male, e infatti questo passaggio non è stato smentito dalla nota Fiat). Ottimo viatico per Luca Cordero di Montezemolo, che giovedì ha vinto il suo Gran Premio, se non il suo personalissimo Mondiale, ottenendo il rinnovo del mandato di presidente della Ferrari per altre tre anni, fino al 2014.

Cosa per nulla scontata fino a pochi mesi fa: lui stesso non ci avrebbe creduto fino al dicembre scorso, riferiscono persone che lo hanno incontrato a quel tempo. Il nuovo mandato per Montezemolo suona in realtà come una conferma che la Ferrari andrà davvero in borsa: chi meglio di lui può rappresentarla sui mercati internazionali? In futuro (forse) solo Lapo Elkann, l’azionista messo fuori dal gruppo ma rientrato nel giugno scorso con un contratto di consulenza in Ferrari grazie a Montezemolo. Lapo ha messo la testa a posto, lavora in squadra con Luchino (vezzeggiativo dell’Avvocato) e Flavio Manzoni, un designer coi fiocchi assunto poco prima, studiando probabilmente da prossimo presidente. La soluzione di oggi evita scossoni nel gruppo e in famiglia per il gioiello di Maranello, scalda Montezemolo dopo che il terzo polo si è squagliato, permette a Sergio-Elvis di roccheggiare. Fino a quando?

Lascia un commento