(Dal supplemento Autocritica, in edicola oggi con il manifesto, “Che ora è/Crisi, previsioni e storie ai tempi della nuova emergenza energetica mondiale”). Incatenata la leva del freno a mano, due ragazzini di tredici anni vengono fatti accomodare al volante di una moderna automobile. La chiave d’avviamento è inserita e il quadro temerariamente acceso. Uno dei due prova a ingrandire con le dita l’indicatore del carburante, senza fortuna. L’altro punta il cruscotto che immagina touch screen, lo sfiora per cambiare posto al termometro dell’acqua e non succede nulla. Ma che razza di auto è, papà? La storia è capitata davvero a un collega molto hi tech e molto imbarazzato nello spiegare ai figli che i designer d’interni del ricco mondo automobilistico non fanno cruscotti a sfioramento come tablet e cellulari. E che la generazione iQualcosa deve attendere, tanto più che a maggioranza non ha ancora la patente.
Quanto? La Lexus CT200H, la compatta ibrida del marchio di lusso del gruppo Toyota, guidata in modalità Sport cambia il colore del cruscotto in rosso. Ok, lo fanno altre ma qui l’econometro si trasforma in un più appropriato contagiri. Per il resto, auto volanti e cruscotti con le funzionalità di un iPhone restano sullo stesso piano, cioè da immaginario. Si muovono i servizi di intrattenimento a bordo, ma sono un’altra storia e pure un po’ old e distraente per chi guida, come segnalano da anni allarmati rapporti degli enti per la sicurezza stradale a cominciare da quello statunitense Nhtsa.
Nel 1996 la General Motors introdusse per prima su alcuni modelli il sistema a pagamento OnStar che integrava navigazione, comunicazione e sicurezza. Paradossalmente ma non troppo, fino alla bancarotta del 2009 è stata questa l’unica voce in attivo sulle auto del costruttore americano. Ora Linda Marshall, ex dirigente di Revol Wireless, un’azienda IT di Cleveland, è stata incaricata di guidare in Gm il servizio che dovrà trasformare l’automobile in una sorta di smartphone. Il problema è che ciò avverrà in tempi relativamente rapidi solo per numero di funzioni, magari con sistemi mobili. Mentre il sistema è da un anno anche una App sul cellulare, da portare a casa. Un sistema mobile, come si è intravisto anche sul prototipo Mini Rocketman (il Seed). Ma ancora nulla che possa impressionare un ragazzino.
La strada di OnStar è obbligata, perché all’ufficio marketing della Gm giurano che in America l’infotainment è una delle prime cinque ragioni d’acquisto di un’automobile. E il discorso vale anche per gli altri. In coda alla Gm, la Ford ha lanciato il Sync system che avvia la musica con comando vocale e sempre una voce legge in macchina i tweet. Per la prossima estate la Hyundai metterà a punto il suo Blue Link per competere con il leader OnStar, a oggi sei milioni di utenti di cui quattro pagano mediamente 240 dollari all’anno per averlo. In Cina, la Gm ha già catturato 200.000 utenti e pare che l’affitto del sistema OnStar cresca a botte di 40.000 nuovi registrati al mese. Ma On non significa App. E meno che mai rende scorrevole il cruscotto. Chi glielo dice ai ragazzini, agli acquirenti di domani?