L’ultima assemblea degli azionisti della Fiat unica, così come l’abbiamo conosciuta, è stata aperta dalle parole del presidente John Elkann: “La Fiat torna a fare solamente automobili”. E fin qui ci siamo, non sarebbe piaciuto forse al nonno Gianni (che pensava anche lui alla Chrysler, ma era per diversificare) e non piacerà a Cesare Romiti, ma effettivamente è così. Poi però aggiunge: “Per fare automobili nel mondo di oggi, dove ci sono più mercati ed esigenze superiori, è importante una grande focalizzazione, su più mercati e con più prodotti. Proprio per questo la Fiat ha guardato sempre all’America come al mercato con cui fare accordi”.  Chi glielo ha scritto il discorso? L’America di Elkann è un’America vecchia, un’America che non c’è più. Quella di un primato perduto probabilmente per sempre, quella del suo trisnonno che –  ricorda John – andò a Detroit nel 1906.  L’America di oggi (certo, l’America della Chrysler-Fiat di Sergio Marchionne) è quella che in tre anni (2007-2009) ha perso oltre sei milioni di vendite. E che oggi arranca dietro il mercato cinese, primo al mondo e più avanti di quello americano giusto di altrettanti sei milioni (nel 2010). Ma in Cina, la Fiat non c’è.

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