La nuova Mini compie 10 anni. E’ stata un successo? Sì, industriale e di costume, nonostante avesse la missione apparentemente impossibile di sostituire l’auto-mito di Alec Issigonis, costruita fra il 1959 e il 2000. Onore al merito della Bmw: oltre 2 milioni di nuove Mini prodotte, dalle circa 160.000 del 2002 primo anno di mercato completo alle 241.307 del 2010 anno record, con un obiettivo 2011 fissato a 250.000. Per intenderci, più o meno i numeri della Fiat Panda, che però costa quasi la metà.

Lontano da Monaco, nel 2001 non molti credevano all’ operazione di rilancio: all’epoca, scrissi un pezzo per l’Espresso dando voce a questi dubbi, concentrati soprattutto sul ritorno degli investimenti (una piattaforma solo per la piccola di Oxford e perdipiù con trazione anteriore).  La Bmw ha risposto facendoci soldi, come da manuale con i modelli premium, cioè costosi per chi compra e redditizi per chi vende. Ma anche gestendola bene come un marchio da rinnovare continuamente e da personalizzare, imponendola perfino negli Usa (suo primo mercato). Se oggi il 45% della produzione è la berlina 3 porte (cabriolet compresa), la gamma è diventata una famiglia allargata: nel 2007 la Clubman, nel 2010 la Countryman, quest’anno la Coupé, nel 2012 prevista la Roadster, nel 2013 la Concept Paceman, nel 2014 la Concept Rocketman. Infine, quanto è davvero rétro la nuova Mini?  Dipende, à la carte direbbero i francesi. Dal punto di vista tecnico, molto più della Fiat 500 e del New Beetle o del Beetle nuovo: l’italiana e la tedesca hanno perso il motore posteriore e la trazione posteriore originali, la Mini ha mantenuto i suoi 4 cilindri davanti ed è pure rimasta aggrappata a terra come la sua antenata, grazie anche a sospensioni vicine allo zero. Non è rétro nelle facce di molti che la guidano, che ignorano chi siano Issigonis, i Beatles e Mary Quant (e molto altro). E’ un giudizio snob? Solo come la Clubman, la più snob delle anglotedesche.

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