La Chrysler guidata da Sergio Marchionne si arrende e ritira la richiesta di prestiti agevolati per 3,5 miliardi di dollari al Dipartimento per l’Energia dell’amministrazione Obama.  L’annuncio è stato dato giovedì scorso, dopo un tira e molla durato tre anni. La Chrysler, già nei guai prima dell’arrivo della Fiat, aveva chiesto questi prestiti – mirati allo sviluppo di tecnologie e di prodotti a minor impatto ambientale – fin dalla fine del 2008, partendo dalla cifra di 8,5 miliardi. Quando il 29 dicembre dello stesso anno c’è la firma del memorandum d’intesa che porterà Marchionne a conquistare la Chrysler sul filo della bancarotta pilotata, l’amministrazione Bush ha appena sbloccato prestiti agevolati per 4 miliardi di dollari, ma non quelli del Dipartimento dell’energia.  In questi tre anni, Marchionne ha spinto per ottenere quei soldi senza per altro dimostrare una verve ambientalista, tanto è vero che il gruppo Chrysler non ha in listino neanche un modello con motorizzazione ibrida e meno che mai uno elettrica. Nel 2009 ottenne dal Dipartimento circa 500.000 dollari la Tesla californiana, marchio di auto sportive e ora anche elettriche, mentre la Gm rinunciò a chiederli alla fine del 2010, lasciando sola la Chrysler. Oggi Marchionne, nonostante i suoi ottimi rapporti con la Casa Bianca, deve aver capito che in campagna elettorale Obama non può fare nuove concessioni senza esporsi alla fucilazione dei Repubblicani, che ancora accusano – come fa Mitt Romney, di aver dato troppi soldi per il salvataggio delle due Big di Detroit. Obama ha buon gioco nel raccontare agli elettori di aver salvato migliaia di posti di lavoro nel Midwest, visti anche i conti brillanti di Gm e di Chrysler, ma in una campagna elettorale giocata tutta sulla crisi economica un po’ di ulteriore cautela può aiutare.

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