Antonio Tabucchi non scriverà più nulla, ecco cosa è successo insistendo a declinare il futuro. Se ne è andato senza avergli chiesto qualcosa sull’ultima crisi del giornale, mi avrebbe risposto come sempre con delle righe o delle parole da pubblicare. Ho pensato di chiamarlo e non l’ho fatto. Un equivoco, direbbe senza alcun dubbio. Qui voglio ricordarlo per una piccolissima cosa, per coloro che seguono il mondo delle quattro ruote.  Di tutto quel che ci ha dato, provate a (ri)leggervi  “Rebus“, breve racconto della raccolta “Piccoli equivoci senza importanza” . Un suo modo di dare senso raro all’automobile. Oltre a narrare di una Bugatti del ’27 e della macchina di Proust guidata da Agostinelli. E di Albert: “E’ un po’ filosofo, tutti i buoni meccanici lo sono, forse lei non ci crederà, Monsieur, ma a studiare le automobili si capiscono tante cose, la vita è un ingranaggio, una rotella qua, una pompa là, e poi c’è una cinghia di trasmissione che collega tutto e trasforma  l’energia in movimento, proprio come nella vita, un giorno mi piacerebbe capire come funziona la cinghia di trasmissione che lega tuti i pezzi della mia vita, il concetto è lo stesso, bisognerebbe aprire il cofano e stare lì a studiare il motore che ronza, collegare tutto, tutti gli istanti, le persone, le cose, dire: è Albert, fu il motorino di avviamento, questo ero io, i pistoni con la camera da scoppio, e questa è la candela che fece scoccare la scintilla dell’accensione; e ora a bordo, si parte”.

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