Son cose dell’altro mondo. Un mondo dove un sindacato dei metalmeccanici – Uaw – lotta per mantenere il possesso di una quota di proprietà dell’azienda – Chrysler – per la quale lavora, o perlomeno per vendere cara la pelle, visto che pensano che negli ultimi tre anni quell’azienda di valore ne ha acquistato tanto, e il loro contributo deve essere riconosciuto e pagato.
Come può in questo tipo di scenario Marchionne non amare gli Usa? Anche se impegnato in un contenzioso con le maestranze della Uaw finito in arbitrato? D’altronde Fiat e fondo pensioni del sindacato si trovano a giocare la perenne partita che vede l’azienda piangere miseria, e gli operai denunciarne la ricchezza nascosta. Ma in ballo, alla fine del dibattimento di fronte alla corte del Delaware, c’è un giudizio sul valore della ripresa che la Chrysler è stata capace di cavalcare dal 2009 in poi. Il verdetto numerico che il giudice Donald Parson finirà per dare, tra un mese o due, alla domanda: quanto vale il 3,3% della Chrysler oggi? La risposta all’inizio potrà anche essere punitiva per il Lingotto, magari costretto a pagare più caro il riscatto della quota. Ma nel lungo termine, più alto quel numero sarà e più ricca sarà la quotazione delle azioni della nuova società che Marchionne promette di lanciare al più presto sulla piazza del New York Stock Exchange. In fondo si tratta di una classica situazione, come si dice da queste parti, “win win”, una contesa senza perdenti.
Sono cose dell’altro mondo. Un mondo nel quale un governo si è profondamente impegnato nel salvataggio di una casa automobilistica sull’orlo del disastro, la General Motors, anche a costo di fare scelte impopolari che hanno diviso il parlamento e il paese. Non l’ha fatto con una politica di aiuti striscianti concessi senza nemmeno una ricevuta in cambio; ne’ con la mediazione di un welfare paternalistico che crea assuefazione per chi lo riceve. Il Tesoro americano è entrato in tribunale a fianco dei legali della Gm e ne ha gestito la ristrutturazione con moneta sonate, e tanta. Ha assediato per mesi il board fino a ripulirlo da una nomenclatura imbalsamata nella inettitudine e nella superbia, e poi ha tenuto il libro dei conti sott’occhio, fino al giorno in cui ha riscosso la cambiale con gli interessi. E anche oggi che la quota inevasa di quel debito è pari al solo 16,4% del valore della nuova Gm, il Tesoro è lì, a censurare come ha fatto lunedì scorso la proposta indecente di aumenti dei compensi per 12 tra i top manager dell’azienda. Non è ancora tempo di festeggiare, almeno non fino a che i soldi investiti dal governo non saranno tornati nelle casse dei contribuenti. Ma sono cose dell’altro mondo!
Appunto cose dell’altro mondo e non dell’Italia….