Roma è inondata di sole. Una bellissima giornata, siamo in dicembre, non possiamo pretendere che faccia anche caldo. Salgo in macchina, mi accorgo che per uscire da dove sono regolarmente parcheggiato dovrò fare qualche manovra in più. Due Smart, lasciate dai rispettivi proprietari di taglio e non in parallelo al marciapiedi, sbucano minacciosamente sulla carreggiata di una strada che non è molto larga. Accetto la sfida, occorrono 5 minuti di manovre, riesco ad uscire al millimetro, sento il muso di una delle due smart che tocca la fiancata della mia vettura. Un piccolo graffio.

Me ne faccio una ragione, visto che nei giorni precedenti una vettura parcheggiata in seconda fila (ora un giudice ha deciso che si può citare il proprietario per danni) mi aveva costretto a fare ricorso ad un taxi per non mancare un appuntamento. Insomma, mi è andata bene.

Mi immetto nella strada principale, ci sono auto parcheggiate in doppia fila. Il già stretto budello ha un intralcio supplementare: c’è un tizio che – praticamente in mezzo alla strada – sta amabilmente chiacchierando con una signora che è al volante di una delle auto in doppia fila. Dietro a questo ostacolo colloquiale, sbuca un giovanotto che, telefonino all’orecchio, attraversa d’improvviso. Doppia sterzata per evitare il dialogante o lo sbadato. Si procede.

Strisce pedonali, verde per me, rosso per i pedoni. Accelero per attraversare, un signore con cane mi si para davanti, sulle strisce. Freno. Mi urla dietro improperi, mi becco pure un “sei cieco?” che in realtà era ciò che stavo pensando del soggetto con cane. Ma non c’erano bastoni bianchi per sostenere la tesi. 
Procedo, in fila indiana insieme ad altre vetture. Dietro la mia,  al volante di una 500 una signora continua a esercitarsi con il clacson. Vedo nel retrovisore che mi fa segno di accelerare. Le faccio notare, a segni, che siamo in fila e che non ho ancora il brevetto di pilota di aerei. Mi fa un cenno inequivocabile con il dito medio.

Finalmente imbocco viale Parioli, vengo sorpassato da alcuni scooter, che proseguono la loro corsa malgrado il rosso del semaforo. Si salvano perché il conducente di un autobus riesce a frenare in tempo. Viale Parioli, una strada molto larga, trasformata in un cunicolo, dove si passa a senso alternato causa parcheggi in doppie file e lavori in corso. In realtà il senso dovrebbe essere alternato e lo è solo quando un tizio al volante di una Golf si ferma in attesa che una ragazza con la sua Fiesta lasci libero il parcheggio (era in doppia fila, ovviamente) se no di alternarsi proprio non se ne parla.

Altro semaforo. Ci si ferma. Sono dietro ad un giovane su Smart. Diventa verde per noi, la Smart resta immobile. Il giovane ha il capo chino in avanti. Temo si stia sentendo male. Esco dalla fila, mi affianco. Allarme rientrato, sta solo usando il suo smartphone che evidentemente lo ipnotizza.
 Arrivo a destinazione. La nostra redazione è in una strada privata, con tanto di sbarra, davanti alla quale è parcheggiato un grosso crossover. Qualcuno, per dispetto, gli ha divelto i tergicristallo. Penso con simpatia al violentatore di crossover mentre  mi guardo in giro per vedere se per caso il proprietario della vettura è in arrivo. Nulla da fare. Trovo miracolosamente un parcheggio, ringrazio il portiere dello stabile vicino alla nostra strada che ha spostato il suo scooter (primo gesto gentile della giornata), scavalco un Suv piazzato con la sua mole sul marciapiede, dove sono sistemati anche alcuni scooter. Finalmente entro in redazione. Il mio lavoro deve ancora cominciare e sono già un poco provato.

La cronaca della parte iniziale della mia giornata forse sarà anche un caso-limite. Penso che i romani, quando sono al volante, non brillino molto per gentilezza, eleganza e rispetto delle regole. Mi confronto con due colleghi di Milano e di Firenze e le nostre cronache dell’avvicinamento al posto di lavoro non sono poi tanto dissimili.

Siamo sicuri che nel nostro Paese la crisi dell’automobile non sia altro che la conseguenza della maleducazione di chi la usa?

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