Di tutte le cose che sono state dette a vario titolo dopo la fusione tra Fiat e Chrysler, una delle più ricorrenti riguarda la futura trasformazione di Fiat “from a Europe-focused manufacturer into a global competitor to General Motors, Toyota and Volkswagen”.  Non sono affatto sicuro che affermazioni simili possano essere attribuite a fonti di provenienza Fiat, per il semplice fatto che non è affatto chiaro in che cosa si trasformerà Fiat, al punto che il Wall Street Journal ha scritto che “Fiat Chrysler’s most significant challenges are essentially ones of scale and scope”.

Una cosa è certa: FCA non competerà mai con GM, Toyota e VW.

Ciò che sappiamo è che FCA ha intenzione di perseguire una ‘strategia premium’, e andare a caccia di volumi in un segmento che garantisce margini a doppia cifra, soprattutto nei mercati in crescita (si prevede che entro il 2016 le vendite di automobili premium in Cina supereranno quelle degli Stati Uniti, ed entro il 2020 quelle dell’Europa).

Tale strategia ha sollevato da parte di analisti e addetti ai lavori una serie di obiezioni, che riguardano principalmente l’esecuzione del nuovo piano industriale – che sarà presentato a maggio – ed il reperimento dei capitali necessari a finanziarlo. Questi sostengono che, mentre i concorrenti macinano miliardi di utili all’anno, FCA non sarebbe in grado di generare sufficiente cassa per autofinanziare gli investimenti, e che dieci miliardi di debito sono già troppi.

Francamente, ritengo che ciò non rappresenti un problema insormontabile per Marchionne, che fin dal 2004 con l’affrancamento dal convertendo delle banche italiane ha dimostrato di saper trovare i soldi alle migliori condizioni possibili.

Semmai, il problema è che affinché possa competere con Audi, Bmw e Mercedes, per Alfa Romeo saranno necessari investimenti ingenti, che Marchionne sarà disposto a fare solo in presenza di una ragionevole probabilità di ritorno. E non basteranno certo “i primi promettenti risultati della strategia premium” annunciati nel comunicato stampa a commento dell’esercizio 2013 a convincerlo.

Come se vendere Ferrari e Maserati fosse la stessa cosa che vendere Alfa. Le ragioni d’acquisto di chi compra beni di lusso sono fondamentalmente diverse da chi compra prodotti ‘premium’, soprattutto in Europa e Stati Uniti: nel primo caso il marchio definisce chi/che cosa il cliente aspira ad essere (‘lifestyle definer‘), nel secondo il marchio diventa un’espressione del proprio stile di vita (‘lifestyle enabler’). Tanto le automobili di lusso sono esclusive, iconiche, perfette, quanto quelle premium sono accessibili, funzionali e tecnologicamente avanzate.

Sarà per questo che leggiamo titoli del tipo “the moment of truth is drawing near for Sergio Marchionne” o “per Fiat-Chrysler non ci sono più alibi”. Arrivati a questo punto, sarà difficile tirarsi indietro, soprattutto in considerazione delle serie conseguenze occupazionali per le fabbriche italiane. Stavolta la differenza non la farà la distribuzione, o la pubblicità, ma unicamente la qualità dei prodotti.

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