Si può amare o meno, l’auto elettrica ha però un merito: raccontare storie da movie hollywoodiano. Dell’epopea di Tesla si è detto tutto. Meno si è scritto su Fisker Automotive. Fondata nel 2007 da Henrik Fisker, Bernhard Koehler e Quantum Technologies a Irvine in California, a gennaio 2008 al Salone di Detroit, presentò il concept del suo primo (e finora unico) modello: la Karma, una sportiva ibrida plug-in premium. L’idea era chiara: sfidare Tesla nell’immaginario collettivo del sogno americano di un mondo a zero emissioni. Offrendo in più, una vettura senza problemi di autonomia grazie al sistema ibrido plug-in. Pensare che Elon Musk e Henrik Fisker all’inizio erano amici: Musk affidò proprio alla Fisker lo sviluppo del design della Model S. I rapporti però si ruppero in fretta: Tesla accusò Fisker di pensare solo alla Karma e citò in giudizio quelli che stavano diventando dei rivali. La causa la vinse Fisker. E fu l’unica vittoria dei californiani di Irvine.

Non furono gli unici soldi che arrivarono nelle casse di Fisker: l’Energy Department degli Stati Uniti riconobbe il carattere innovativo dell’idea e concesse un prestito di 528,7 milioni di dollari. le risorse giuste per costruire il sogno. Almeno sulla carta. Perché proprio con i soldi in mano, Fisker iniziò ad avere dei problemi. Tanta immagine e poca sostanza. Le star si facevano fotografare a bordo della Karma (la copertina per i vip green all’epoca era assicurata) ma l’auto aveva non pochi problemi (vi racconto dopo), il rapporto tra soci era turbolento e i manager, a tutti livelli, cambiavano (scappavano) in continuazione. Tanto che nel 2011 il governo decide di fermare la linea di credito aperta, per il non rispetto dei piani di sviluppo previsti all’erogazione del prestito.
Il fondatore Henrik Fisker fu prima messo in disparte dall’arrivo di Tom La Sorda (ex Ceo Chrysler) e poi di Tony Posawatz (ex ingegnere capo della Chevrolet Volt), per poi lasciare in maniera definitiva l’azienda nel marzo del 2013. Nel frattempo, da luglio 2012 nessuna auto è stata più prodotta nello stabilimento Valmet in Finlandia. Ci si mette anche la mala sorte: le poche vetture rimaste invendute e parcheggiate nell’impianto di assemblaggio di Wilmington in Delaware (ex Gm) furono distrutte dal passaggio dell’uragano Sandy. Ad aprile del 2013 il 75% dei lavoratori è stato licenziato. La Fisker passa di mano alla Hybrid Technology LLC che chiede uno sconto al governo per il rimborso del prestito. Negato. C’è tempo anche per un interessamento del vecchio leone di Detroit, Bob Lutz, alla fine però per l’azienda resta solo la bancarotta con il “Chapter 11“, lo stesso a cui sono state costrette nel 2009 Chrysler e Gm. Fino ad arrivare a gennaio 2014 quando la Wanxiang America Corp., filiale americana dell’omonimo gruppo cinese, acquista la Fisker all’asta governativa per 149,2 milioni di dollari, con la promessa di far ripartire il prima possibile la produzione nello stabilimento di Wilmington (condizione necessaria per vincere l’asta).

Ho avuto l’occasione di provare tra i primi la Karma quando ancora il sogno Fisker era lontano dal tramonto su un circuito in California e di parlare con Henrik Fisker a lungo. L’impressione che ebbi in quelle ore era piuttosto chiara: si era puntato tutto sul design della vettura e meno sulla tecnologia a bordo. Lo stile doveva richiamare, per riprendere le stesse parole del fondatore, “quello delle sportive europee“. Non poteva essere altrimenti: Henry Fisker era un designer cresciuto in Aston Martin e Bmw. L’obiettivo era evidente: “Fai una bella auto e la gente la compra”. E infatti l’auto in pista non andava un granché, non stava in strada e la fluidità di marcia del complicato sistema ibrido plug-in (range extender) era rimasta un’idea di progetto e nulla di più. Gli ingegneri Fisker non avendo sviluppato in casa ogni singolo componente avevano difficoltà a metterli insieme e probabilmente l’affidabilità di elementi così innovativi (e complessi) come batterie, sistemi di recupero di energia, motori elettrici, provenienti da fornitori differenti tra loro non ha aiutato. Tanto più se il fornitore scelto per le batterie, l’americana A123 nel frattempo è arrivata alla bancarotta. Per dare un’idea: Tesla sviluppa e produce i componenti in proprio e la quota parte data in esterno ai suppliers è ridotta al minimo. Lo stabilimento di produzione della Karma era in Finlandia a migliaia di km di distanza dal Delaware dove poi la vettura era assemblata: per un’auto di nicchia da costruire quasi a livello artigianale, la scelta è stata a dir poco insensata.
Questa in breve la storia. Ora il futuro. Magari, come in ogni sogno californiano che si rispetti, con il lieto finale. Che oggi ha la faccia di Lu Guanqiu, cinese, 65 anni, a capo di Wanxiang Group Corp. accreditato da Bloomberg, di una fortuna, costruita partendo dalla produzione di componenti per trattori, di 3,1 miliardi di dollari. Il gruppo cinese ha il 3,7% di Guangzhou Automobile Group, partner di Fiat in Cina e ha rilevato la stessa A123 per poi cedere una parte dell’attività ai giapponesi di Nec. Riuscirà Lu a salvare la Fisker? La storia continua.
[…] In Cina l’auto elettrica piace. Non ai clienti che sembrano mancare come in Italia, quanto piuttosto a chi ha deciso di investirci miliardi di yuan con l’obiettivo di ripetere il sogno californiano di Elon Musk e della sua Tesla. L’ultimo in ordine di tempo è il 70enne Lu Guanqiu, uno che i soldi li ha fatti producendo biciclette e che ora sembra aver deciso di riportare alla luce la Fisker (ne avevo già scritto l’anno scorso). […]