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Henrik Fisker, presidente esecutivo dell’omonima società californiana di auto elettriche, si è appena dimesso ufficialmente per divergenze strategiche con i suoi.  Shai Agassi, fondatore sempre in California della società Better Place che lavorava a un sistema di ricambio delle batterie per l’auto elettrica, è stato costretto a mollare nell’ottobre scorso.  “Twitto ergo sum”, “sarò totalmente nel virtuale”, ha salutato nel suo account.  Insomma, restano a piedi alcuni pionieri della mobilità elettrica, e non è un buon segno. Per tutti noi.

Certo, l’ansia di non arrivare perché l’autonomia delle batterie è ancora scarsa è uno dei grandi problemi di questo nuovo sistema di mobilità. Ma se a noi consumatori il progresso della tecnologia ci darà sempre una chance in più (e un giorno una macchina a volt senza ansie), alcuni di quei pochi pionieri dell’industria che stanno dietro al progetto pagano tutto e subito.  Cent’anni fa le compagnie petrolifere avrebbero applaudito. Oggi potrebbero farlo top manager dell’auto che non credono nell’auto a batterie. anche perché chi ce l’ha in listino soffre, taglia i prezzi e riduce la produzione.

Elon Musk - CEO Tesla Motors
Elon Musk – CEO Tesla Motors

Fisker, racconta il Detroit News , lascia perché ha fatto errori. Il più grave, a mio parere, è l’aver preso nel 2009 dall’amministrazione Obama prestiti agevolati per 549 milioni di dollari (in parte ora congelati dal Dipartimento dell’energia) senza poi aver mantenuto la promessa di una nuova fabbrica nel Delaware e lavoro per 2.000 persone.  In America usare soldi pubblici significa mettere la mano sul fuoco: se sbagli, ti bruci. Oltre a Fisker, per programmi di mobilità a basso impatto ambientale li ha presi la Ford, la Tesla di Elon Musk sempre in California (465 milioni, con promesse finora mantenute), ma non la Gm che ci ha rinunciato quasi subito e non la Chrysler di Sergio Marchionne, costretta a rinunciare a 3,5 miliardi di dollari dopo un’attesa lunga e imbarazzante. Il costruttore evidentemente non aveva soddisfatto i requisiti per ottenerli.

La storia di Agassi è diversa, ma sempre un cattivo presagio. Israeliano trapiantato nella Silicon Valley dove gestisce una società di software, sogna un modo suo per togliere l’ansia agli acquirenti di auto elettriche. Invece della ricarica, il pacco batterie viene sostituito in pochi minuti in una stazione di servizio e si riparte. Un’idea  geniale, ma troppo avanti sui tempi.  L’idea trova uno sponsor nel governo israeliano, che a sua volta sogna di liberarsi dalla dipendenza dal petrolio arabo, e un partner nella Renault di Carlos Ghosn. Ma la sperimentazione non va lontano, i costi sono ancora più alti di quelli per le colonnine di ricarica, per farla breve Better Place perde mezzo miliardo di dollari sei anni dopo la nascita e lui viene cacciato.  Twitta, ma non dimentichiamolo.

Commenti
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    Peccato per il progetto Agassi per il distributore cambio batterie.Sarebbe stata una grande spinta alla diffusione delle vetture elettriche

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    Purtroppo Agassi è arrivato troppo in anticipo. I costi della sua stazione sono mediamente più cari di 10 volte di una colonnina di ricarica. Oggi. Grazie dell’attenzione fp

    […] Certo, è una storia incredibile. Lutz l’antiambientalista è stato pure clamorosamente riabilitato in un film presentato nell’aprile del 2011 al Tribeca festival di New York. In “Revenge of the electric car” firmato dal regista Chris Paine che cinque anni prima aveva girato “Who killed the electric car”. Lutz compare insieme a Carlos Ghosn, ceo di Renault-Nissan, ed Elon Musk, ceo di Tesla, per narrare la rinascita dell’auto elettrica.  Da non credere. Lutz-Fisker? Solo per odore di soldi. Pubblici. […]

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