Che l’Ipo della Ferrari provochi fibrillazioni in Italia non mi sorprende. Dopo trent’anni d’America sono abituato anch’io a guardare al Belpaese, insieme a tanti yankees, come un regno ugualmente diviso tra complottatori perenni e cinici cacciatori di trame, i secondi sempre pronti a scovare le malefatte dei primi. Mi sorprende invece vedere come il dibattito sul prossimo debutto in borsa appassioni gli americani al punto di suscitare l’ansia di insospettabili paladini dell’italianità e dell’integrità del marchio modenese.
Fiduciosi come sono delle regole del mercato, i ferraristi statunitensi temono in primo luogo che il pacchetto del 10% delle azioni possa finire concentrato nelle mani di un grande gruppo industriale, che pretenda poi di spingere il cda a massimizzare i profitti dell’azienda, bucando ben oltre la soglia di espansione della produzione di 10.000 auto ventilata da Marchionne. E’ comprensibile d’altronde che il 50% della clientela Ferrari si preoccupi di un’eventuale diluizione dell’immagine del marchio, visto che finora molti tra loro sono abituati a considerare la spesa d’acquisto come un investimento sul valore futuro dell’auto.
Meno comprensibile ma altrettanto reale è il dibattito sul Cafe, la norma che spinge i costruttori a migliorare i consumi delle proprie vetture. La California T, la più parca delle auto del Cavallino, manca l’obiettivo Cafe di 34,1 miglia per gallone (o 14,5 kml), che entrerà in vigore tra poco più di un anno, di ben 16 miglia. Ogni miglio sotto il target va moltiplicato per i 55 dollari di multa, quindi il conto per la T è di 880 dollari. Un balzello che l’azienda paga senza battere ciglio, fiduciosa di passarla a un acquirente abituato a non fare pulci sul prezzo.
Il conto del Cafe non si applica ai singoli modelli, ma è cumulativo per l’intero marchio e va calcolato sulla media dei consumi di tutto il prodotto venduto in un anno. Il che spiega almeno in parte la strategia di affiancare sul mercato Usa alle idrovore rosse la parca Fiat 500, capace di ridurre l’importo della multa. Ora però l’arrivo dell’Ipo cambierà le carte in tavola.
Innanzi tutto l’avventura americana claudicante della 500, priva del vantaggio fiscale che forniva a Ferrari oltre che alla Maserati, potrebbe arrivare al capolinea, e forse essere cancellata.
Le auto di Maranello si troveranno sole di fronte al Cafe, per il quale da anni molti legislatori americani lamentano l’esiguità dell’impatto economico e chiedono un forte rincaro. Se dovessero ottenerlo, e al tempo stesso il marchio si trovasse ad affrontare un’autentica esplosione di modelli e di volume di vendita, la Ferrari si troverà a fare i conti con una tazzina di Cafe particolarmente amaro.
Riusciranno a Maranello a spremere veri risparmi energetici dai propri motori, non certo quelli ridicoli espressi oggi dall’ibrido-elettrico a bordo della LaFerrari? E se non ce la faranno, saranno forse costretti a ricorrere al plebeo impiego del turbo, marchio d’infamia di un’aristocrazia borghese che ambisce alla nobiltà, ma non può permettersela?
Quest’ultimo, angoscioso interrogativo affligge più di ogni altro i nuovi ricchi del paese d’oltremare.