Volkswagen

La “lunga marcia” della Volkswagen Golf – 40 anni, 80 anni fa l’inizio di quella di Mao – ha finito per non fare prigionieri. Una a una le berline concorrenti del segmento C hanno alzato bandiera bianca, travolte dalla forza della normalità, oppure hanno dovuto reincarnarsi in qualcosa di completamente diverso, per continuare a combattere “Das Auto” (l’auto, semplicemente, come se non ce ne fossero o ne servissero altre), ma su altri campi di battaglia.

La strategia adottata da Nissan per il segmento C è il miglior esempio per cogliere l’impatto definitivo che la Golf ha avuto sul mercato europeo: dopo la non brillante esperienza dell’Almera, nel 2006 Nissan ha partorito il crossover Qashqai, un successo di vendite che ha messo sul piatto lo stesso buon senso della Golf, ma condito con ingredienti diversi e distintivi. La nuova berlina Pulsar invece parte già fuori dai giochi, le sue 65-80mila unità l’anno sono – per implicita ammissione di Nissan – un riempitivo, un modo per saturare la capacità produttiva di uno stabilimento senza rischiare troppo.

In una realtà europea dove tutti (giornalisti compresi) si affannano a dire che il mercato non vuole più le berline, la regina incontrastata delle vendite è… una berlina. La Golf combatte l’assalto dei crossover ampliando l’offerta di motorizzazioni, alimentazioni alternative e tipi di carrozzeria, ma resta sempre fedele a se stessa. Non sarà che in fondo – al di là dell’altezza da terra, della visibilità, del look urbano, della voglia di distinguersi, della flessibilità dell’abitacolo, di tutti quei presunti requisiti che studi marketing sempre più autoreferenziali ci propinano – la gente in un’automobile cerchi, più semplicemente, un rivoluzionario buon senso?

 

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