C’è un autunno caldo americano nell’immediato futuro di Sergio Marchionne? Il 14 settembre scade il contratto di lavoro firmato con il sindacato UAW (United Automobile Workers) e con esso finisce nel cestino una delle norme capestro accettate nel 2009 di fronte al fallimento della vecchia Chrysler: il divieto di sciopero per sei – lunghissimi – anni.

All’epoca nessuno, a partire da Marchionne, avrebbe scommesso un euro su una ripresa così rapida e robusta dell’automotive americano. Ma ora, in epoca di vacche grasse, azienda e sindacato devono sciogliere molti nodi venuti al pettine in questi anni senza buttare via le due lezioni – a mio giudizio – offerte dalla Grande Crisi del 2008/2009: se si sbaglia si torna alla povertà, se invece azienda (e sindacato) azzeccano le loro scelte emergono margini per una “prosperità condivisa”.

Già, ma quanta parte di questa prosperità spetta ai dipendenti? Trovare l’equilibrio in FCA non sarà una passeggiata e questa trattiva sarà più difficile rispetto a quelle parallele  con GM e Ford. Essenzialmente per due ragioni. La prima: il contratto UAW prevede due livelli di paghe pari a circa 29 dollari l’ora per i dipendenti assunti prima del 2009 e a 19 dollari circa per gli assunti dopo il fallimento.

I neoassunti sono però meno del 30% della forza lavoro in GM e quasi il 45% in FCA. Poiché un avvicinamento fra le due paghe è considerato corretto anche dalle aziende, è evidente che FCA dovrà sopportare un aumento del costo del lavoro maggiore di GM.

La seconda ragione che – da sua stessa ammissione – provoca l’orticaria a Marchionne è la differente redditività delle aziende Usa dell’auto. Nelle recentissima seconda trimestrale 2015 di GM sono emersi margini del 10,5% che FCA US semplicemente si sogna.

In parole povere, Marchionne rischia di dover affrontare un aumento del costo del lavoro maggiore dei suoi concorrenti Usa pur in presenza di guadagni inferiori. Come uscirne? Per una volta – e sarebbe una primizia globale assoluta – potrebbe fare da riferimeno il contratto italiano di FCA siglato lo scorso 7 luglio. Questo documento prevede che una parte dei premi annuali vengano pagati sulla base dell’aumento dell’efficienza dei singoli stabilimenti. In pratica il sindacato italiano ha accettato paghe diverse (sia pure solo parzialmente) da fabbrica a fabbrica.

Com’è noto, l’efficienza delle fabbriche FCA viene misurata con un unico sistema in tutto il mondo che si chiama WCM (che calcola non solo la produttività ma anche l’assenza di infortuni). E dunque non sarebbe fantascientifico in Usa assegnare un premio di stabilimento più alto a chi guadagna meno per accorciare le distanze fra i due livelli di paga.

Diverso il discorso sull’esborso complessivo a carico di FCA. Il contratto italiano costerà 600 milioni di euro in quattro anni distribuiti a 85 mila dipendenti (20 mila circa dei quali in realtà appartenenti al sistema CnhI che sforna camion e trattori). Per quello Usa che riguarda 77.800 dipendenti (33.000 dei quali a paga più bassa), si parla di 400 milioni di dollari in più. Ma la trattativa è solo alle prima battute e l’autunno ancora lontano.

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