A Bruxelles il terrore ha colpito questa volta in aeroporto e in metropolitana, due luoghi e strumenti massimi di mobilità. Andando oltre le stragi al Bataclan e a vari caffé parigini, dove lo stesso terrore aveva voluto colpire la nostra vita quotidiana nella sua espressione più diretta, quella del tempo libero. Ridurre la mobilità a suon di terrore significa voler portare a zero la libertà, alzando il livello dello scontro finché paralisi sia, per paura e per null’altro.

A Bruxelles abbiamo visto una nuova prova di guerra asimmetrica. Quella in cui la democrazia combatte, se costretta, con l’obiettivo di portare comunque a casa la pelle, mentre il terrore combatte senza avere questo retropensiero. Senza questo valore, diciamo noi in democrazia. Una guerra asimmetrica che ha avuto tra le prime vittime le 13 ragazze morte il giorno precedente nell’incidente del bus in Spagna, cancellate d’un colpo dalla cronaca e dal dolore comune.

A Bruxelles la nostra mobilità è stata colpita, ma se c’è una risposta, deve essere quella di non fermarsi mai. Di continuare a pedalare, di restare al volante della propria vita, rivendicando per sempre la nostra guida autonoma. Anche a brutto muso contro chi vuole farci scendere.

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