Volkswagen e Deutsche Bank, nei guai fino al collo per loro colpe, sembrano subire un trattamento diverso da parte delle autorità statunitense, mi fa notare il post di Andrea uscito qualche giorno fa su Carblogger.it. In estrema sintesi: con i primi l’America sembra non voler trattare, con i secondi sì. Vero è che Deutsche Bank non è solo una grande banca d’affari tedesca: è la Germania

Ma Volkswagen e Deutsche Bank restano asimmetriche anche in certe modalità di “pagamento” dei loro errori, almeno guardando a quel che sta succedendo nei rispettivi management e azionariati. In Volkswagen, diversi dirigenti che hanno sbagliato sono stati mandati via mentre alcuni azionisti hanno addirittura fatto causa per danni. Alla Deutsche Bank, non mi risulta che l’amministratore delegato sia stato cacciato per avere dato via libera alla vendita di obbligazioni garantite da mutui subprime, né che un azionista abbia alzato il sopracciglio per l’operato dei manager.

Sono solo asimmetrie, certo, e a buoi scappati. Mentre simmetriche sono state le multe miliardarie che hanno già colpito le principali banche d’affari americane da JpMorgan in giù, svizzere, inglesi e francesi comprese per comportamenti analoghi alla Deutsche Bank. A tutte loro non è successo altro (“too big too fail”, ma quanto sarebbe ora di finirla con questa storia), né la legge Dodd Frank del 2010 ha frenato la deregolamentazione della finanza.

Nell’auto, Volkswagen ha dovuto invece avviare un vero cambio di marcia. E non soltanto per le regolamentazioni sempre più restrittive in fatto di emissioni. Ovvio che l’aspettiamo al varco, come l’intera industria in questa transizione verso un “territorio sconosciuto”, per dirla con le parole immaginifiche quanto efficaci di Dieter Zetsche, ceo di Daimler. Ma ben venga. E non leggete questo post come una difesa d’ufficio della Volkswagen. Il gruppo tedesco è reo confesso (obtorto collo), dunque indifendibile. Farei prima a cambiare cliente.

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