Interessante articolo ma mi permetto alcune considerazioni professionali (non sul tema dell’auto in senso stretto, per cui “non sum dignus”, ma sul tema dell’orario di lavoro, su cui ho qualche praticaccia).
Credo che dare conclusioni generali di tipo “sociologico” su questo specifico aspetto della contrattazione collettiva tedesca non sia del tutto corretto. La modifica del numero delle ore lavorate settimanali, di per se’ non comporta “in re ipsa” un aumento della produttivita’ o un incremento automatico dell’occupazione. La verita’ a mio parere e’ che in questo momento storico della Germania con una disoccupazione virtualmente pari a zero (il tasso infatti e’ quello considerato fisiologico, cioe’ incomprimibile, di circa il 5%) ed una produttivita’ assolutamente soddisfacente , con dei livelli retributivi medi assai elevati (comparati anche al resto dell’Europa), sussistono le condizioni per “sperimentare ” per un tempo limitato nella vita di una percentuale dei lavoratori una diminuzione delle ore lavorate. Ma questi presupposti non sono esportabili o ripetibili in modo automatico in altri Paesi o in generale nelle economie avanzate con piu’ problemi, anzi corrono il rischio di deprimere la produttivita’ e l’efficienza di contesti industriali ed organizzativi meno evoluti o con stringenti questioni di tenuta occupazionale e di concorrenza sui mercati interni ed internazionali. Il che vuol forse dire che i problemi sociali e familiari citati nell’articolo non esistono? Certamente si’, esistono, ma le ricette e le risposte non possono essere qui quelle tedesche basate sull’orario di lavoro ma su interventi in tema di politica familiare e sociale collettiva (servizi, welfare, etc..) senza costringere le aziende a rincorrere un approccio “teutonico”, che non puo’ essere replicata senza contraccolpi evidentemente negativi. Peraltro gia’ oggi sociologi italiani anche famosi teorizzano la fine del lavoro grazie alla tecnologia ed alla intelligenza artificiale, ma in questo caso a mio parere il rischio che si corre invece e’ che rincorrere in Italia o altrove la provocazione tedesca in tema di orario, significhi deprimere ancor di piu’ la nostra produttivita’, finire fuori mercato e in ultima analisi ridurre i posti di lavoro e l’occupazione. Come giustamente ricordato nell’articolo guardando a l’approccio seguito da Opel. E’ da notare che persino il nostro sindacato (almeno quello piu’ responsabile) stia trattando con le pinze e senza eccessivi trionfalismi l’esperienza tedesca. Ma il discorso qui sarebbe lungo e ci porterebbe lontano dai temi dell’auto ….