“Dopo Marchionne il diluvio”, mi fa a Monza un caro collega che non vedevo da tempo, lo scorso week end. Esagerato, gli dico un attimo prima che la Ferrari di Raikkonen partisse dalla pole, un attimo prima che la Ferrari di Vettel in pista non mi inducesse a sperare nei benefici della guida autonoma che verrà. Il mondo perfetto: niente errori al volante, niente contratti piloti in cerca di autore come Raikkonen, niente Vettel che sbaglia.
La Ferrari seconda e quarta a Monza – dopo essere state prima e seconda in pole – è stata descritta come una Waterloo. “Il podio non basta”, si legge perfino sul sito della Ferrari. Per capire veramente, forse bisogna essere presenti fisicamente a Monza, dove accade quel che che non accade altrove per l’entusiasmo ineguagliabile che c’è. Compresi i fischi agli avversari, cosa da veri perdenti.
Il problema è che domenica alla Ferrari è successo troppo di tutto. John Elkann che si presenta ai box in improbabile camicia rossa (“l’ha rubata a Lapo”, battuta che mi arriva nell’orecchio da un altro sconosciuto collega), due piloti che fanno a gara con i loro fantasmi, una macchina superiore che conferma suo malgrado l’importanza della guida umana, la beffa della Mercedes alla squadra rossa fingendo un rientro ai box per un pit stop che non avviene.
Per la Ferrari la bestia è invece lì, sulla spalla. L’ombra del dopo Marchionne (spero proprio non sarà un diluvio), l’ombra di un uomo solo al comando che non c’è più in un ambiente che, senza di lui, sembra sbandare. O magari mi sbaglio. Come Vettel.
SI, l’unica cosa corretta l’ha scritta nell’ultima frase. Solo che non avrebbe dovuto scriverla col dubitativo.