Greta Thunberg, la giovane ambientalista svedese, sta inspiegabilmente dettando l’agenda del mondo. Inspiegabilmente, perché non è che prima della sua irruzione sulla scena l’emergenza climatica non fosse già grave. Ma oggi è Greta a fare la differenza, alzando il livello di comunicazione e attenzione ai nostri problemi quotidiani da 0 a 100 in tempi record. Come lo spettacolare 0-100 (km/h) di una Tesla elettrica, per restare sui temi di questo blog.

Greta, oltre a meritare rispetto (anche da chi è in disaccordo) se non altro perché fa un lavoro che molti di noi adulti non siamo evidentemente in grado di fare, potrebbe essere una occasione per l’industria dell’auto. Da non perdere.

Non nemici, ma quasi amici: la rivoluzione elettrica del settore, certo per forza e non per amore dopo troppe resistenze, ha bisogno di un sostegno sociale enorme. Perché come in tutte le rivoluzioni ci saranno vittime innocenti (posti di lavoro) e nuove ineguaglianze (limitato accesso per i costi ancora alti). Tutto in nome di un bene comune, ma non sarà indolore. E l’auto ha bisogno di essere percepita attraverso una nuova sensibilità ambientale, oltre che di una profonda trasformazione in chiave sostenibile.

Prendete lo smog in città: l’auto ne è responsabile in parte e non è quella maggioritaria, ma è lei la principale imputata pubblica. Perché fare battaglie di retroguardia? Diventi un modello, una lepre “verde” che tutti devono inseguire.

A me fa impressione vedere come gli slogan dei top manager dell’industria e degli ambientalisti in questo momento si assomiglino: no plan B, no planet B. Greta è un’indicazione di percorso fatto di tante Grete e Hans e altri, dove non si vede ancora il traguardo ma dove sarebbe meglio che non si vedesse più nemmeno la partenza.

Una strada senza ritorno, che la nuova auto è in grado di percorrere fino in fondo. Ci sta investendo centinaia di miliardi: sarebbe inspiegabile se li buttasse.

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