Non so voi, a me non piace. Causa coronavirus, il lavoro di informare per il settore sembra diventato in questi giorni un’altra cosa: rendere reale il virtuale. Un video, un comunicato, se va di lusso una telefonata e poi scrivi. Niente Salone di Ginevra, “però puoi fare quell’intervista in call”. Obietto: mai visto prima quel top manager, incontrarsi significa anche captare un umore, interpretare una risposta non risposta, capire fino a dove lui o lei si può spingere. Rispondo: “No, grazie”.

Non che non sia capitato di fare le cose anche in questo modo. O capiterà, perché magari per una volta non si può fare altrimenti. Ma qui siamo a una regola che vorrebbe confermare l’eccezione.

Tutti davanti a un pc, che almeno è il nostro e la tastiera non dovrebbe essere infettata dal coronavirus. Ma non mi stupirei che questa modalità di lavorare piacesse all’industria – a tutte le industrie: è così che si risparmiano un sacco di soldi e si evitano contatti personali con i media non tutti desiderati. Si chiama disintermediazione.

Sembra un film da Grande Fratello ai tempi del digitale, in cui l’informazione non va più a cercare la notizia ma la riceve e basta. Quel che passa il convento, come si diceva una volta. Con mediazione giornalistica ridotta al minimo, quando c’è.

Un po’ come se maschere e bavagli si confondessero in questa brutta stagione.

Oppure no. E’ solo un’anteprima distopica di un futuro in cui l’intelligenza artificiale scriverà al posto nostro, senza bisogno di un faccia a faccia, né di fare una domanda in più.

Non ho più letto nulla su di lui, ma c’era un tipo con lo pseudonimo di Stats Monkey che sapeva scrivere una notizia e sistemare titolo sommario e foto in meno di un secondo. Quando lo facevano lavorare otto ore al giorno, era capace di scrivere fino a 150.000 testi a settimana, perfetti e a prova di errore.

Ok, si occupava solo di baseball ma era anche il lontano 2008 e Stats Monkey era un insieme di 0 e di 1 che “abitava” in un sobborgo di Chicago. Un robot con fretta di imparare.

Il coronavirus me lo fa tornare in mente. Già: quanto ci metterebbe oggi a fare un articolo sui risultati di Fiat Chrysler senza preoccuparsi se John Elkann preferisce o meno l’editoria all’auto, o a buttar giù una intervista registrata dall’altra parte dell’Atlantico con il top manager cui ho detto no, grazie?

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