Fra un temporale e l’altro di questo strano giugno, il caso Pirelli mi è sembrato un fulmine a ciel sereno. Una questione non da celebre calendario ma addirittura di geopolitica, se non sapesse della stessa bizzarria di cui sono fatti questi primi giorni sotto l’ombrellone.

Sentite qua. Il Messaggero fa uno scoop (lo dico perché il giorno seguente viene ripreso da tutti) a firma di Osvaldo De Paolini, giornalista di lungo corso con delicatissima delega all’economia: il governo starebbe valutando l’uso della Golden Power per impedire che i cinesi di Sinochem, gruppo statale entrato nel 2015 in Pirelli da salvatore della patria, si pappino la gestione italiana del produttore di pneumatici. Allarme allarme.

Sto per ridere quando leggo su Twitter che sul Messaggero un trafiletto addirittura in prima pagina informa che l’editore ha “ricevuto le dimissioni” da De Paolini, vice direttore vicario. Con effetto immediato dal 6 giugno. Wow, altro che Littizzetto e finte comiche Rai.

Aspettando l’arcobaleno, interrogo sto’ cielo troppo variabile come un meteorologo: ma quanto deve essere piaciuto lo scoop al governo Meloni, sotto pressione dagli americani per i nostri affari con la Cina, con i quali così almeno segna un punto? E se i cinesi si fossero un po’ incazzati con il Messaggero? Operando il gruppo Caltagirone anche in Cina in cemento e costruzioni – è la versione di Primaonline.it – meglio sia De Paolini a scomparire nel cemento in senso figurato, e affari salvi (ma la terza versione che circola non ve la dico).

Vabbè, sono cavoli loro. Ciò che mi diverte è il possibile (?) uso della Golden Power da parte del governo per salvare nientedimeno che la governance made in Italy di Pirelli.

La disciplina della Golden Power riguarda i settori difesa e sicurezza nazionale, una cosa seria, cui sono stati aggiunti “taluni ambiti di attività definiti di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni”. Senso lato, molto lato.

Ma davvero il governo Meloni considera Pirelli gomme un asset di “rilevanza strategica“, quando i cinesi ci guardano dallo specchietto retrovisore su microchip, materie prime, intelligenza artificiale o su tutta la filiera dell’auto elettrica? O si vuole impugnare Pirelli come manganello da agitare ad altri cinesi come il colosso auto Byd, che ignora l’Italia di Salvini e Meloni per un prossimo investimento in Europa, per altro sulla stessa linea dell’americano Elon Musk di Tesla?

ps In realtà Pirelli aveva un asset di “rilevanza strategica”: la sponsorizzazione della mia Inter. Finita prima che la seconda carica dello stato fosse data a Ignazio La Russa. Come cambiano i tempi.

@fpatfpat

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