E così il 17 dicembre il governo Meloni ha fatto pace con Stellantis, dopo il nulla nei rapporti precedenti. Un miracolo, identico a quello del 16 dicembre del sangue di San Gennaro: non si è sciolto subito, ma solo nel tardo pomeriggio. E’ successo che Carlos Tavares si dimette da amministratore delegato di Stellantis e Stellantis produce in due settimane un piano industriale, chiamato “Piano Italia”, che convince il governo a portare il gruppo dalla polvere all’altare.

I miracoli non esistono, però se esistessero o ci si volesse convertire, Stellantis e governo Meloni sono qui per darne una prova.

In un pomeriggio, Stellantis è passato da “un certo livore” percepito da Tavares in parlamento l’11 ottobre scorso, al migliore dei mondi possibili evocato da Pangloss per il suo discepolo Candide. Merito del “Piano Italia”, che non potendo essere stato scritto in 15 giorni nemmeno per miracolo, era quello di Tavares. Manager reo di non aver portato nella sua audizione in parlamento le slides (il j’accuse di Carlo Calenda) e di assoluta mancanza di savoir faire politico, che del resto non ha mai avuto, usando verbi sbagliatissimi per di più in inglese: “Voi leader politici dovete dirmi come devo fare per gestire questo aumento dei costi”.

Nelle slides consegnate a Palazzo Chigi dal capo di Stellantis Enlarged Europe, Jean-Philippe Imparato (navigato, empatico, gran venditore e parlante italiano, il manager più spendibile per questo tipo di governo), ci sono più o meno le stesse cose dette malamente da Tavares, Aumento di produzione (“doper la production“, ha scritto Les Echos con qualche invidia molto francese) e aumento di modelli. Tipo, se adesso è ufficiale l’arrivo del nuovo pianale Stla Small a Pomigliano per nuove piccole fino al 2032, il vituperato Tavares era già andato oltre: “Le fabbriche hanno modelli assegnati fino al 2030, in alcuni casi fino al 2033”. Vita da Carlos.

Dopo il miracolo, che poi è stata una operazione di marketing politico del governo Meloni (chapeau), che succederà? Imparato ha detto di “metterci la faccia” sul piano, escludendosi così dalla corsa alla successione di Tavares (semmai fosse stato in corsa, e dubito). Vai a capire come andranno – da qui all’eternità del 2033 – mercato traditore, cinesacci, dazi trumpiani, ubriacatura da CO2, ‘ste elettriche. Per tenersi le mani libere, a Stellantis basterà nominare un qualsiasi altro amministratore delegato che non ci ha messo la faccia, et voilà.

Del “Piano Italia” va preso per buonissimo l’impegno che non ci saranno licenziamenti, né chiusura di fabbriche in Italia. Questo sì che sarebbe un miracolo per il quale varrebbe la pena convertirsi. I 2 miliardi che Stellantis ha promesso di investire mi sembrano pochi, un decimo dei 20 miliardi promessi da Sergio Marchionne nell’aprile del 2010 con “Fabbrica Italia”, con un obiettivo di produzione in cinque anni da 650mila a 1.650.000 unità. Ero lì al Lingotto e scrissi – dopo averci ragionato su non poco – che non avrebbe potuto funzionare, e infatti non funzionò.

Oggi pregherei (laicamente) per il miracolo, come per il sangue di San Gennaro, più che a confutare le dottrine di ottimismo alla Voltaire. Però, in rilettura, m’imbatto in un Pangloss che sembra parlare della vicenda Stellantis, almeno quando dice a un “ometto nero, familiare dell’Inquisizione” tra le macerie del terremoto di Lisbona: “La caduta dell’uomo e la maledizione entravano necessariamente nel migliore dei mondi possibili”. Tutto è già stato scritto.

@fpatfpat

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