Cara Europa, sono stato alla manifestazione di Roma lanciata da Michele Serra, dove si è parlato di molte cose ma non di automobili a batteria. Mi ha ricordato che nel 1992, la notte del 7 febbraio, ero a Maastricht per il mio giornale, e anche allora non si parlava proprio di automobili elettriche e di transizione energetica. Troppo presto (o troppo tardi), come la prima Gm EV1 rapidamente uccisa, che arriverà in America quattro anni più tardi. A Maastricht si faceva una nuova idea d’Europa, un po’ vaga sì, come lo è l’Europa di questa manifestazione. Però, meglio sempre provarci: “Se ci è venuto in mente di portarla in piazza è perché vogliamo sentirci europei non per trattato, non per un vincolo burocratico. Ma perché crediamo sul serio, ostinatamente, perfino a dispetto della realtà, alla libertà e alla pace, che sono le due madri della costruzione europea”.
Cara Europa, lascio qui un messaggio mentre ti concentri sull’idea di una difesa autonoma perché l’amministrazione Trump vorrebbe chiudere l’ombrello Nato. Se ne parlava prima e dopo il 1992, nonostante l’Unione sovietica fosse a quel punto sparita. Ho notato che i mercati non stanno battendo ciglio all’idea di un piano di riarmo da 800 miliardi, pure a debito. Tutto il contrario delle guerre commerciali varate dall’attuale Casa Bianca, che tirano giù le Borse in un attimo. Cogliamo il segno.
Il messaggio? Ah sì: cara Europa, se investi sui carri armati (brutto simbolo, ma ci siamo capiti) non dimenticare di investire anche sulle auto elettriche, o meglio, sull’intero ecosistema di cui hanno bisogno e su come ridurre l’inquinamento “whatever it takes”, per dirla alla Mario Draghi. C’è un recente impegno della Commissione a favore di questa transizione, che va però sostanziato al più presto, evitando di mandare a gambe all’aria una industria in sofferenza. Lo so che l’auto elettrica divide, non ce l’ho e nemmeno penso ad averla (mala Tesla currunt, ci mancava in questo casino). E che il tuo obiettivo di vietare dal 2035 la produzione di motori endotermici provoca rumor di sciabole. Ma non sarebbe meglio provare a marciare uniti nelle nostre divisioni verso un’idea di Europa più pulita per tutti?
Michele Serra lo ha detto in un modo che mi piace applicare a questo messaggio: “Perché una piazza europea non può che essere una piazza di persone che, su parecchie cose, non la pensano allo stesso modo. Ognuno di voi potrebbe avere accanto qualcuno che vota per un altro partito. O non vota affatto. Che crede in un altro dio, oppure in nessun dio. Che ama la pace, ma pensa di difenderla in modi differenti. In un mondo che sembra in frantumi, una piazza che unisce persone e idee diverse è uno scandalo. Questo scandalo ha un nome. Si chiama democrazia”.
Che dite, mettiamo i fiori nelle nostre marmitte?