Guardo l’Europa ragioniera tedesca alle prese con la Grecia e mi rattristo. Che piccolezze, rispetto ai due accordi di disgelo mondiale degli Stati Uniti di Barack Obama con Cuba e Iran. Due stati tolti di colpo dalla black list del Dipartimento di Stato, due notizie che ci ridanno qualche speranza per un mondo migliore e qualche pretesto automobilistico per scriverne sul nostro blog.

Cuba si aprirà al mercato. Ciò non cambierà i piani di produzione dei costruttori innanzitutto americani, perché non è che i cubani diventeranno ricchi da poter comprare tante auto nuove, ma almeno il vecchio parco circolante tornerà a luccicare un po’ di più.

Chi è stato sull’isola sa di che parlo: le Chevy e le altre macchine americane degli anni 50 imbalsamate dalla rivoluzione castrista, che ancora girano con sotto i lunghi cofani pezzi provenienti dalle Lada sovietiche e poi russe o addirittura motori interi Toyota. L’Avana nuova capitale dell’arte, grazie anche a queste quattro ruote pazzesche. Fossi alla Chevrolet a Detroit, studierei come cogliere la palla al balzo.

L’Iran riaperto al pubblico dopo la fine delle sanzioni internazionali fa venire invece l’acquolina in bocca al business mondiale, industria dell’auto inclusa. Il Financial Times raccontava pochi giorni fa delle 900.000 auto vendute l’anno scorso nel paese, delle previsioni di una produzione locale quest’anno intorno a 1,4 milioni, del sogno degli analisti della banca d’investimento Rothschild  di un mercato da 3 o 4 milioni di pezzi entro la fine del decennio.

L’appetito per l’Iran scatena la corsa a un posto a tavola. Ma se la sola Peugeot vendeva nel 2011 oltre 450.000 macchine, oggi la differenza rispetto al passato è che i cinesi siederanno a fianco agli occidentali. Perché l’Iran nel frattempo è diventato il loro primo mercato d’esportazione. Una competizione esplosiva, nucleare verrebbe da dire se l’aggettivo laggiù non fosse stato quasi bandito…

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