Negli Stati Uniti il gruppo Volkswagen è stata messo sotto accusa dall’Epa, l’ente federale per la protezione dell’ambiente, per  avere alterato con un software i valori reali delle emissioni di motori diesel a quattro cilindri su circa 482.000 vetture – quattro modelli Volkswagen e uno Audi – venduti nel paese dal 2009 ai giorni nostri. Il software entrava in funzione durante i controlli, per poi essere spento una volta finiti. Un dato in laboratorio, tutto un altro su strada, pare con livelli di emissioni fino a 40 volte superiori alla norma.

La notizia sembra incredibile per la reputazione che tutti abbiamo del gruppo tedesco: tu quoque, come se Volkswagen fosse una di quelle grandi aziende asiatiche (di auto e non) che negli anni ci hanno fatto saltare sulla sedia per il livello di certi imbrogli?

“Una minaccia alla salute pubblica”, l’ha definita la funzionaria dell’Epa Cynthia Giles. Martin Winterkorn, boss del gruppo tedesco, ha ammesso il caso, si è detto “profondamente dispiaciuto”e ha avviato un’indagine interna. I tedeschi dovrebbero uscirne fuori pagando una multa che al massimo può essere di 37.500 dollari per ogni modello oggetto di richiamo, circa 18 miliardi. Cifra pazzesca.

Ma quale sarà il danno alla reputazione di Volkswagen? Va detto che in America la percezione del gruppo tedesco non è granché, nulla a che vedere con quella che si ha in Europa e in Asia. I numeri lo confermano: nei primi otto mesi dell’anno, il marchio tedesco ha venduto oltreoceano 238.000 unità, -3%, poco rispetto al 1,15 milioni di Toyota, contro il quale a livello di gruppo i tedeschi corrono per il primato mondiale. Una corsa che almeno lì diventa ancora più complicata.

Se la tutta la storia verrà definitivamente confermata con la multa dell’Epa, il caso Volkswagen farà il paio con quello del gruppo coreano Hyundai, multato nel 2014 per 300 milioni di dollari (soltanto come parte di un accordo), per aver imbrogliato sui valori reali dei consumi di 1,2 milioni di modelli venduti negli Stati Uniti.

Ci sono imbrogli e imbrogli. Nel 2013, la Toyota ha pagato 1,2 miliardi di dollari sempre negli Usa dopo il richiamo di oltre 10 milioni di vetture per un problema (in alcuni casi mortale) al pedale dell’acceleratore, sul quale i giapponesi non sono intervenuti subito. Recentemente, è toccato alla Honda pagare 70 milioni di multa per essere intervenuta tardi sull’airbag difettoso del produttore giapponese Tanaka, costato la vita ad almeno sette persone. Toshiba, altro settore, ha invece truccato i conti per sette anni, coprendo perdite per l’equivalente di oltre un miliardo di euro.

Storia (occidentale o del nord del pianeta come Volkswagen) è la multa alla GM di 900 milioni di dollari per aver tenuto nascosto un difetto al sistema di accensione su alcuni modelli che sono però costati la vita a 127 persone (casi riconosciuti dal costruttore americano).  Fatto di rara gravità per i numeri, ma vittime ci sono state anche alla fine del secolo scorso per pneumatici difettosi Firestone montati su delle Ford.

Nella storia, peggio di tutti  ha fatto la Mitsubishi Motors, che nell’estate del 2000 fu costretta ad ammettere di aver nascosto difetti alle proprie auto per oltre vent’anni . L’allora boss Katsuhiko Kawasoe andò a scusarsi in tv e perse il posto,  così come 11.000 lavoratori per la crisi seguita alla clamorosa ammissione.

“Stiamo reinventando il più grande costruttore di automobili europeo”, ha detto Winterkorn al Salone di Francoforte la settimana scorsa. Annunciando 20 modelli elettrici e ibridi plug in entro il 2020.  Ecco, che questa “reinvenzione” passi anche da una piazza pulita di chi ha sbagliato in America. E sempre che nessuno davvero sapesse a Wolfsburg.

Commenti
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    Domanda. E chi ci garantisce che VW non abbia fatto e stia facendo lo stesso giochino anche in Europa? C’è una qualche autorità realmente “super partes” che si sia presa la briga di verificare nel merito?

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